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Tech & China. La nuova dottrina industriale per gli Stati Uniti

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L’Hamilton Center on Industrial Stretegy aiuterà il governo americano a definire le tecnologie avanzate strategicamente importanti per non perdere terreno con Pechino. Non basta più dire “aumentiamo la spesa per la ricerca”, ecco cosa serve per restare in testa

“Se ascolti l’establishment commerciale di Washington, il commercio è win-win. Questo può essere vero per alcuni settori. Quando si parla di settori avanzati, però, non è vantaggioso per tutti: è win-lose”. Quello che afferma in un’intervista al New York Times il fondatore e presidente della Information Technology & Innovation Foundation, Robert Atkinson, è un monito nei confronti degli Stati Uniti.

La sfida sulle tecnologie avanzate è un punto importantissimo nella lunga corsa alla leadership mondiale: pertanto, esserne produttori o venditori può rappresentare una bella differenza. Vendere vorrebbe significare avere il coltello del manico, mentre essere dipendente dai prodotti altrui – è scontato – lascia molto più vulnerabili e soggetti alle turbolenze dei propri fornitori. Ecco perché la Fondazione ha lanciato la sua iniziativa, l’Hamilton Center on Industrial Strategy.

Il fine ultimo è quello di aiutare il governo statunitense nel comprendere quali siano le tecnologie avanzate “strategicamente importanti per la sicurezza economica e nazionale”, così come il primo segretario al Tesoro – quell’Alexander Hamilton a cui l’iniziativa si inspira – aveva scritto nel Report on the Subject of Manufactures del 1791 (il suo approccio era però opposto a quello laissez-faire di oggi). Come si legge sul sito della Fondazione, per gli Stati Uniti è necessario “promuovere una politica industriale strategica che ottenga più della semplice aggiunta di input per l’innovazione (ad esempio, più spese per la scienza) o il miglioramento delle condizioni dei fattori (una solida protezione della proprietà intellettuale), per quanto importanti siano questi”.

Essere subordinati alla produzione altrui può infatti comportare dei rischi notevoli. In primis, il poter contare solo su partner alleati, che non sono mai un numero esagerato, a cui si deve aggiungere anche la posizione scomoda di quelli neutrali, che vanno coccolati per evitare che non si leghino ad altri concorrenti. Il secondo rischio è legato in parte al primo, perché nel momento in cui a fare i prezzi sono altri c’è la possibilità che il costo aumenti e il cappio legato al collo degli attori subordinati si stringe ogni volta che il Paese produttore lo decide.

Un altro pericolo è quello che stiamo osservando da qualche tempo a questa parte: la competizione che portano avanti Stati Uniti e Cina può avere riflessi soprattutto negativi. Non si parla solo degli squilibri dovuti alla loro guerra commerciale ma anche al fatto che, nel momento in cui uno dei due decide di interrompere i rapporti, possono crescere le diffidenze. Una storia nota con i semiconduttori cinesi, da cui l’America cerca di allontanarsi il più possibile.

Proprio da un’analisi di Peter Coy, autore dell’intervista, è emerso che negli ultimi dieci anni Pechino ha recuperato terreno nei confronti degli Stati Uniti in termini di produzione mondiale nel settore farmaceutico, sui prodotti medici, chimici e botanici, nel materiale elettrico, nelle attrezzature e macchinari, mezzi trasporto (per lo più aerospaziali), computer ed altri prodotti elettronici ed ottici, nella tecnologia e nei servizi di informazione. Insomma, sono alla pari sono molti aspetti. Questi sono tutti settori tecnologici dove Washington ha perso margine – tranne che nell’informazione – a vantaggio di Pechino, mostrando quindi di non stare al passo.

Se poi si stila una classifica per mostrare quanto interesse nutra una nazione per la tecnologia, ecco allora che la situazione appare evidente. Se poniamo l’interesse globale per il settore tech a 100, gli Stati Uniti sono tredicesimi con 94 punti, contro i 134 della Cina. Prima su tutte è Taiwan (219), alleata di Washington e distante da Pechino, ma questo nulla toglie che, come sottolineato da Atkinson, “le debolezze rendono gli Stati Uniti vulnerabili all’aggressione economica, in particolare dalla Cina”. A meno che non si chiariscano i settori chiave su cui gli Usa devono puntare.


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