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Ucraina, dalla guerra lampo alla guerra a oltranza

Doveva essere un blitzkrieg, sta diventando una guerra a oltranza. Non basterà un’estate a fermare i fucili in Ucraina. L’aggressione di Putin ha messo in moto una locomotiva difficile da fermare in tempi rapidi. L’analisi del generale Carlo Jean

Generalmente le guerre iniziano con l’aggressore persuaso di poter conseguire rapidamente una vittoria decisiva, conseguendo i suoi obiettivi politici, cioè imponendo la propria pace all’avversario, dopo la sua resa o il suo annientamento. Se l’offensiva iniziale fallisce, inizia una fase intermedia. In essa, entrambe le parti non cercano un compromesso, ma il miglioramento progressivo delle proprie posizioni.

Gestiscono nel modo a ciascuno più conveniente – in relazione alle sue risorse materiali e politico-morali e alle vulnerabilità proprie e del nemico – l’azione di logoramento o di attrito che la contraddistingue. Quest’ultima può consistere in una serie di attacchi e contrattacchi limitati, oppure in un duello di artiglierie, oppure – più frequentemente – in una loro combinazione, colpendo anche la popolazione e le capacità economiche dell’avversario, per indurlo a negoziare da una posizione di debolezza. È la fase in corso in Ucraina dopo il fallimento del blitz corazzato russo su Kiev.

La seconda fase termina quando uno dei contendenti ha esaurito le sue capacità materiali o la sua volontà politico-morale di continuare a combattere. Una delle parti allora cerca di limitare le perdite, negoziando. La fase può terminare o, almeno, sospendersi con una tregua, concordata o di fatto, se entrambi i contendenti sono esauriti. In tal caso, le ostilità vengono semplicemente sospese o congelate, come avvenuto in Corea. Meno frequente è l’imposizione di una tregua o di una trattativa da parte di una potenza esterna. Essa comporta un’azione di forza, come in Bosnia-Erzegovina.

È però improbabile, soprattutto se i contendenti sono potenti e se hanno subito forti perdite. I governi hanno le mani legate. Anche se lo volessero non possono scendere a patti. Anche contro ogni razionalità strategica, le opinioni pubbliche, fortemente polarizzate, lo impediscono. È il caso dell’Ucraina. Putin e Zelensky non possono rinunciare a perseguire una vittoria sul campo. Perderebbero faccia e potere.

Gli obiettivi perseguiti da ciascuno dei contendenti – cioè il significato che viene attribuito attribuito al termine vittoria – variano a seconda dell’andamento delle operazioni. Qualsiasi soluzione negoziale dovrebbe essere per entrambi accettabile e sostenibile nel futuro almeno a breve-medio termine. Una tregua sul tipo di quella realizzata in Corea sul 38° parallelo sarebbe forse accettabile per Kiev solo con una robusta garanzia internazionale, realizzabile unicamente con lo schieramento di adeguate forze Nato sulla linea del fronte. Solo essa potrebbe dare all’Ucraina una certa sicurezza contro la ripresa dell’aggressione russa contro quanto resterà del paese. Tale garanzia non potrebbe però essere accettata da Mosca. Infatti, la Nato, uscita dall’Ucraina dalla porta, rientrerebbe dalla finestra.

Quindi, mi sembra inevitabile la prosecuzione del conflitto. Se le forze armate ucraine non saranno in grado di bloccare l’avanzata russa in profondità, continueranno a combattere nell’intera Ucraina con le strategie e tattiche proprie delle guerre di guerriglia. La resistenza potrebbe durare anni. Va ricordato che, dopo la Seconda guerra mondiale, partigiani ucraini si batterono contro la potente Armata Rossa sino al 1950. Già ora, si stavano sviluppando forme di terrorismo, di guerriglia e di resistenza passiva nelle regioni occupate dai russi, specie a Melitopol e a Kherson.

La volontà di resistenza delle forze e della popolazione ucraine non rappresenta una vulnerabilità per la continuazione della resistenza di Kiev. Essa deriva da due altri fatti. Primo: l’enorme superiorità della potenza di fuoco russa. Secondo: l’unità dell’Occidente, presupposto della continuazione dell’invio di armi moderne. Per il primo aspetto, la fanteria ucraina ha stoicamente sopportato consistenti perdite.

Comunque, sono in arrivo lanciarazzi a lunga gittata, specie dagli Usa, e cannoni moderni in condizioni di fare una controbatteria efficace. Gli FH 70, definiti “spaventosi” dal buon prof. Orsini, sono armi solo parzialmente idonee alla bisogna. Concepite negli anni 1960, non sono asservite ai drones di ricognizione e non sono in grado di cambiare di posizione prima di essere colpite dalla reazione delle artiglierie russe, che hanno tempi di risposta medi di 4-5 minuti. Non comparabili ai Caesar, ai Panzerhowizer 2000 e agli Amber, francesi, tedeschi e svedesi in arrivo in Ucraina.

Il secondo aspetto, quello della “tenuta” degli alleati, rappresenta la vera vulnerabilità di Kiev. Anche per l’efficacia della propaganda di Mosca e dei suoi influencers, si avverte già qualche scricchiolio. Per ora, la coalizione che supporta l’Ucraina tiene. Il futuro è però incerto. Ritengo però che la volontà di sostenere Kiev potrebbe crollare solo in un caso: la rielezione di Donald Trump nel 2024.

Anche la Russia ha i suoi punti di debolezza. Essi sono emersi nella prima fase dell’aggressione, cioè nel fallito blitz su Kiev. Non sono scomparsi nella seconda fase, in cui le forze sono state concentrate nel Donbass e l’azione si è incentrata sull’enorme superiorità di fuoco terrestre e aereo, per limitare per quanto possibile gli scontri diretti fra le opposte fanterie. La principale preoccupazione russa è stata certamente quella di limitare le perdite. Gli ucraini tendono a sfruttare tale vulnerabilità e a dissanguare le forze russe.

Mosca ha difficoltà a rimpiazzare il logoramento delle sue scarse fanterie. Impiega soldati ceceni e delle altre minoranze etniche, nonché componenti del Gruppo Wagner e mercenari reclutati in Medio Oriente. Putin si è legato le mani con l’ottimismo dei suoi comunicati ufficiali sul successo dell’“operazione militare speciale”.

Non può trasformarla in una “guerra di popolo”, chiamandola “guerra”, dichiarando la mobilitazione e impiegando riservisti e coscritti. Ma sta dissanguandosi e certamente è tentato di dichiarare “missione compiuta” e cessando gli attacchi.

Non può farlo perché gli ucraini non sembrano avere alcuna intenzione di cedere e perché sono persuasi che con l’arrivo delle nuove armi promesse dall’Occidente potranno passare alla controffensiva. Entrambi i contendenti sono perciò costretti a continuare a combattere. Fino a quando lo saranno è imprevedibile.

La guerra pertanto è destinata a durare ancora a lungo e le distruzioni delle città ucraine a intensificarsi. Ormai Putin ha deciso di distruggere quanto non riesce a conquistare.

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