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Ucraina, così Spadaro ricostruisce le vere scelte del papa

Un articolo del direttore di La Civiltà Cattolica cristallizza le scelte della Santa Sede da quando è iniziata la guerra in Ucraina. Una ricostruzione puntuale di pagine e sfide, di linea e proposta, molto lontana dalla facile propaganda fatta di idee tagliate con l’accetta, da visioni “senza se e senza ma”. La riflessione di Riccardo Cristiano

Per quale motivo il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, ha deciso di prendere carta e penna e scrivere l’articolo di apertura della rivista che dirige sulla guerra in Ucraina in modo da cristallizzare (un tempo si diceva così) le sfide poste dalla guerra e le scelte compiute dalla Santa Sede e dal papa sull’Ucraina?

Indubbiamente siamo in un tempo di informazione accelerata, dove tutto scorre così velocemente che una parola di oggi sembra così rumorosa da cancellare quella detta ieri. E quindi l’operazione di ricostruzione è importante. Inoltre, a mio avviso, questo meccanismo accelerato e rumoroso va unito a rappresentazioni capziose sempre più frequenti e diffuse, che rischiano di far perdere di vista il senso di un lavoro complesso, che verso la fine del testo padre Spadaro riassume così: “La diplomazia vaticana guarda al momento presente, ma anche al prossimo futuro. In questo senso è chiara nella condanna, ma intende tessere e cucire, non tagliare. Non devono esserci dubbi sulla lucidità della condanna dell’aggressore. I termini usati da Francesco sono stati «inaccettabile aggressione armata», «violenta aggressione contro l’Ucraina», «guerra ripugnante», «massacro insensato», «invasione dell’Ucraina», «barbarie», «atto sacrilego» ecc. Tuttavia i Papi non attaccano capi religiosi o politici. Francesco, come i suoi predecessori, fa appello alla soluzione dei conflitti e condanna azioni e scelte politiche o strategiche maligne. Questo genera la falsa percezione di un «neutralismo» del Papa, il quale sa che la violenza genera violenza e le vittorie generano sconfitte e paci instabili e friabili. Fu la pace di Versailles a generare il mostro nazista. E quante volte Francesco ha denunciato la pace di Yalta? L’approccio del pontefice si fonda sulla certezza che non si dà a questo mondo l’impero del bene. Perciò bisogna dialogare con tutti, proprio tutti. Ricordiamo, per esempio, che Francesco lo ha fatto persino con il generale Min Aung Hlaing, capo dell’esercito del Myanmar, responsabile delle operazioni contro i suoi amati Rohingya. Il potere mondano è così definitivamente de-sacralizzato. E proprio per questo nessuno è il demonio incarnato”.

Quanto tempo sia occorso per comporre questo paragrafo non lo so, ma mi sembra che offra a tutti un percorso, o forse il desiderio di avviare un processo virtuoso, come si può. Ma per farlo occorre capire di cosa parliamo e per questo l’articolo ci riporta all’inizio del conflitto: un momento decisivo. Perché molto spesso come si inizia un cammino è anche un annuncio di che tipo di percorso sarà. Il percorso avviato da Putin viene ricostruito dal direttore de La Civiltà Cattolica, arricchendolo di un inciso: “Una guerra prevedibile e e prevista da alcuni analisti. E che, dunque, forse si poteva evitare”. Dunque questa rappresentazione della storia che ha portato all’invasione dell’Ucraina non è monocromatica, ma proprio per questo non è indulgente con chi ha scatenato la guerra: “La Russia, se la «vincesse», potrebbe perderla esattamente il giorno successivo, trovandosi a gestire un imbarazzante «dopo», cioè l’inaccettabile occupazione di una terra molto vasta e molto popolata. Come la Francia nella guerra d’Algeria tra il 1954 e il 1962, e anzi molto di più. Parliamo di un conflitto che sin dall’inizio sembra non aver fatto i conti con una resistenza eroica dell’aggredito, supportata dalla mobilitazione di molti Paesi, e con una difficoltà oggettiva sul campo”.

Le responsabilità sono date a chi le ha, i riconoscimenti a chi li merita, e quindi soprattutto alle vittime, alla “resistenza eroica”, per la quale invece molti non hanno neanche pietà. Subito dopo però arriva il richiamo a guardarsi dalla “fobia”, malattia mortale che accompagna tanti conflitti e che in questo caso si è visto per la grande cultura russa. Ma grande cultura non è grande politica. E Spadaro spiega subito il punto decisivo, la risposta putiniana (e di Kirill) al declino: “Dare forma a una nuova narrativa, quella del «mondo russo» che unisce tutte «le» Russie come parte di un’unica realtà: Russia, Bielorussia e Ucraina. Il presidente Putin, nel suo discorso alla nazione russa del 21 febbraio 2022, lo aveva detto con chiarezza: «L’Ucraina non è solo un Paese vicino per noi. È parte inalienabile della nostra stessa storia, della nostra cultura, del nostro spazio spirituale». Quando la politica parla sotto forma di spiritualità, crea pericolosi cortocircuiti”.

Questa deriva, ci fa sapere l’autore, è stata aggravata da stretti collaboratori di Putin, come l’ideologo Alexandr Dugin: “Suo obiettivo è apocalitticamente rovesciare «l’onnipotenza della Prostituta di Babilonia». «Non possiamo mai e poi mai abbandonare i modelli della storia sacra», conclude Dugin, attribuendo alla costruzione dell’impero russo i tratti della sacralità. Un nuovo Sacro Romano Impero dalle connotazioni morali, capace di dare forma a una visione del mondo che confligge con la modernità e l’Illuminismo. Da qui le connessioni con un certo conservatorismo anche statunitense che non ha mai nascosto le sue simpatie per il presidente Putin e anche per l’ortodossia russa. Questa, dunque, la Russia che si è affacciata sul baratro della guerra”.

Se tutti abbiamo letto e capito che il patriarca Kirill ha affiancato o sostenuto il presidente Putin in questa impostazione, Spadaro ci dà citazioni preziose del responsabile delle relazioni internazionali del patriarcato di Mosca, capaci di farci capire che non tutto è bianco, non tutto è nero. Ne cita due dichiarazioni: nella prima “dopo aver ricordato che «in America, in Ucraina e in Russia ci sono politici che credono che la guerra sia la decisione giusta in questa situazione», ha elencato i motivi per i quali si è detto «profondamente convinto che la guerra non sia un metodo per risolvere i problemi politici accumulati». E in un’altra trasmissione ha pure evocato Rasputin, che aveva avvertito lo zar che «se la Russia fosse entrata in guerra, avrebbe minacciato l’intero Paese con conseguenze catastrofiche», arrivando non solamente alla perdita di parte delle terre russe, ma anche della «Russia in quanto tale». Parole forti, bisogna riconoscere, e poco note”.

Dunque i nostri schemi di lettura, tra filo-russi e filo-americani, appaiono asfittici: chi sono i primi, chi i secondi? È chiaro che qui entra in ballo la riserva di ossigeno che un sistema a vocazione imperiale ha trovato nella tradizione cristiano-ortodossa. “Il 18 marzo 2022 era l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea, ma soprattutto la data di nascita di Fëdor Fëdorovič Ušakov, uno storico e invitto ammiraglio dell’era zarista proclamato santo dalla Chiesa ortodossa russa nel 2001. Chiaro il significato simbolico: la guerra in corso sarebbe sotto la protezione di un santo guerriero, il quale, tra l’altro, nel 2005 fu dichiarato patrono dei bombardieri nucleari. Allora la mente torna al 2007, quando Putin, in una conferenza stampa, disse: «Sia la fede tradizionale della Federazione russa sia lo scudo nucleare della Russia sono due cose che rafforzano la statualità russa e creano le condizioni necessarie per garantire la sicurezza interna ed esterna del Paese». Fede cristiana e bombe nucleari appaiono tragicamente connesse a servizio dello Stato e della sua «sicurezza»”.

Viene da chiedersi se nel nostro confronto politico-culturale si abbia consapevolezza di questo. Viene da chiedersi se nello schierarsi in un modo o nell’altro si tenga conto di cosa significhi e potrebbe significare anche per noi. Non a caso l’articolo prosegue ricordando che il patriarca Kirill, nei giorni seguenti “aveva parlato di questa invasione come di «una lotta che non ha un significato fisico, ma metafisico». Ha proiettato così l’offesa bellica di natura politica sullo scenario di una lotta apocalittica, uno scontro finale tra bene e male”. Ce n’è abbastanza per capire, ma siccome noi spesso siamo duri a capire l’articolista prosegue, spiega con estrema chiarezza: “La divinità così rischia di essere la proiezione ideale del potere costituito. La nazione è il «popolo eletto», e la fede stessa lo contrappone a chi non gli appartiene, cioè al «nemico» e al dissidente. L’appello militare all’apocalisse giustifica sempre il potere voluto da un dio. Esso è proprio, ad esempio, dello jihadismo, ma anche delle forme di suprematismo neo-crociato viste di recente negli Stati Uniti”.

Leggere questo fa riflettere e capire perché, proprio in questi giorni, il grande teologo ceco Tomas Halik si sia interrogato sull’avvenire del cristianesimo in Europa, tra nazionalismi, populismi e fondamentalisti, auspicando che diventi una sorgente d’ispirazione morale per una cultura di libertà e di democrazia.

Torniamo al testo, che prosegue incalzante e preciso, denso. Non potendolo ripercorrere tutto dobbiamo arrivare a Bergoglio, cioè alla recente Via Crucis, quando il papa invitò due donne, una russa e una ucraina, a stare sotto la croce, insieme. Scandaloso? “Francesco agisce secondo lo spirito evangelico, che è di riconciliazione, anche contro ogni speranza visibile durante questa guerra di aggressione. Afferma, dunque, in un tweet: «Il Signore non ci divide in buoni e cattivi, in amici e nemici. Per Lui siamo tutti figli amati». Fratelli tutti, dunque. Figli tutti. Da qui il grido «Fermatevi!», alla seconda persona plurale. Due donne, Albina e Irina, nel Venerdì santo hanno portato la croce. Non hanno detto una sola parola. Neanche una richiesta di perdono o cose del genere. Niente. Sono state sotto la croce nel portarla. Scandalosamente insieme. Il loro è stato un segno profeti- co, mentre le tenebre erano e sono fitte. Il loro essere insieme, figlie di Dio e sorelle di una guerra che da amiche le ha rese nemiche, è stata una invocazione a Dio perché ci dia la grazia della riconciliazione. La loro presenza insieme è una preghiera per chiedere non una utopia precoce, ma una grazia, che, secondo il Papa, solamente Dio può dare. La profezia si incunea nei cuori e nelle ombre della storia, facendola esplodere dall’interno come la risurrezione. Un mondo in cui davanti alla croce non possono che esserci amici e nemici, e non fratelli e sorelle, rivelerebbe solamente l’irrilevanza del Dio di Gesù Cristo, riportandoci a un modello teologico arcaico di pura giustizia senza misericordia” compito di pastore «cattolico», cioè universale. Così salva, in questo tempo così duro, la cattolicità della sua fede e della sua Chiesa. La mette al riparo dal pantano dei nazionalismi e dalle alleanze tra trono e altare o tra parlamenti e Chiese. È terribile e scandaloso. Ma questo è predicare il Vangelo di Cristo”.

Questo articolo va letto nella sua interezza per la ricostruzione puntuale di pagine e sfide, di linea e proposta, molto lontana dalla facile propaganda fatta di idee tagliate con l’accetta, da visioni “senza se e senza ma”. Ma oltre a quanto riferito c’è un altro punto che non può essere omesso. Riguarda l’orizzonte: “Quale progetto per la riappacificazione, la convivenza e la sicurezza collettiva in Europa e nel mondo abbiamo in mente? Abbiamo piena consapevolezza delle conseguenze dell’effetto che la guerra rischia di causare su vaste aree dell’Africa e dell’Asia? A causa della scarsità di grano – di cui Ucraina e Russia sono i principali esportatori mondiali – e dei conseguenti gravi problemi alimentari per milioni di persone, sono prevedibili effetti in termini di pressione migratoria. E che dire delle possibili conseguenze della scarsità energetica? Ci sono tutti gli elementi per far traballare molti regimi politici in giro per il mondo. Ed è difficile pensare che ciò rafforzi le democrazie”.

Questo articolo di certo ci aiuta a non illuderci di aver capito tutto con gli slogan, sempre più forti, che in molti casi coprono i fatti e le problematiche di fondo, per offrirci ricette poco utili.

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