Il sì ai due Paesi dell’Est è un segnale verso l’esterno e verso Mosca, ma per molti bisogna cambiare il sistema di voto (e di veto) dei Paesi membri prima di allargare ancora il perimetro. Anche perché, per quanto duro sia il processo di adesione, una volta entrato nell’Unione uno Stato che non rispetti i principi fondanti non può essere cacciato, né facilmente sanzionato, come si è visto con i casi ungherese e polacco
Non arriva soltanto il segnale “esterno” all’Ue, in direzione est, dall’avvio delle procedure per l’adesione all’Ue di Ucraina e Moldova, quanto la consapevolezza che l’architrave tutta del processo di allargamento andrà rivisitata per evitare nuovi cavalli di Troia in seno al club del 27. I due nuovi candidati, come è noto, non hanno al momento il minimo richiesto per entrare a far parte dell’Ue, ma è evidente che ciò vuole essere un “segnale politico” a cui però va controbilanciato un approccio sistemico.
Quale allargamento?
La stampa tedesca è alquanto perplessa sull’offerta lanciata da Bruxelles a Ucraina e Moldova. Il nodo risiede nel fatto che una volta entrati, non c’è modo di sanzionare davvero quei membri che poi non rispettano più i principi fondanti, così come è successo a Polonia e Ungheria. Le procedure per far rispettare lo Stato di diritto sono farraginose, poco efficaci, troppo delicate sul piano politico (di fatto la decisione è in mano al Consiglio). Per questa ragione la tesi sostenuta da Berlino è che si rende imprescindibile una riforma delle modalità di voto e decisione prima di riaprire la partita dell’allargamento. E dal momento che il superamento del potere di veto è quasi impossibile, questa richiesta tedesca è stata ribattezzata una poison pill che può far deragliare i buoni propositi manifestati da Draghi Macron e Scholz nel loro viaggio a Kiev.
Un altro fattore destabilizzante per il dossier allargamento è dato dalle azioni di Mosca sul gas che di fatto mira a dividere la Germania, che si sta dirigendo verso la carenza di gas e a cui restano forse solo tre mesi di riserve. Secondo il ministro dell’Economia Robert Habeck alcune industrie dovranno chiudere se non ci saranno forniture energetiche in inverno. Dati che, direttamente o indirettamente, peseranno nei processi decisionali futuri.
Veti e controveti
Oggi il parlamento bulgaro ha approvato la revoca del veto sull’apertura dei colloqui di adesione all’Ue con la Macedonia del Nord, con 170 voti favorevoli, 37 contrari e 21 astenuti. Così si potrà sbloccare l’avvio dei negoziati in cambio delle garanzie dell’Ue che la Macedonia del Nord soddisferà le richieste della Bulgaria sulle ataviche controversie storiche e linguistiche. Nello specifico, Sofia chiede che Skopje includa i bulgari nella sua costituzione “alla pari con gli altri popoli”, firmando un protocollo bilaterale e attuando un trattato di amicizia, buon vicinato e cooperazione.
Scontento
Lo scontento nel costone balcanico è palese: Kosovo, Serbia, Albania, Bosnia e Montenegro appaiono indispettite rispetto alla corsia preferenziale apparecchiata per Ucraina e Moldova. Ciò potrebbe produrre, in prospettiva, una serie di effetti a catena, sia prettamente geopolitici che anche di pancia da parte dei rispettivi leader. Che l’assemblaggio di una strategia di Mosca e Pechino diretta verso la destabilizzazione della comunità “euro balcanica” sia ancora in piedi è un fatto oggettivo, a cui però si sommano adesso le pulsioni non più solo serbe. Cosa accadrebbe, ad esempio, se qualcuno degli altri paesi in “lista d’attesa” decidesse di non avere il tempo materiale per attendere l’ok definitivo da Bruxelles? Potrebbero essere tentati di guardare altrove, così come accaduto in passato per alcuni progetti legati alla Via della Seta?
Scenari
Impedire che l’allargamento diventi una sorta di frustrazione socio-politica è uno dei temi in cima all’agenda Ue, soprattutto stimolata da Berlino che da tempo ne ha colto, prima di altri, problematiche e approssimazioni. Il governo von der Leyen-Michel è chiamato a mescolare tre principali esigenze: allargare l’Ue; garantire la cooperazione e l’integrazione; fare le riforme per semplificare l’Unione, compreso quel diritto di veto citato più volte da Mario Draghi ed Emmanuel Macron.
@FDepalo