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Ucraina in Ue. La porta aperta di Stefano Sannino (con Wendy Sherman)

Ospiti del forum dell’Atlantic Council sulla Difesa, la numero due della diplomazia Usa Sherman e il segretario generale della diplomazia Ue Sannino aprono una porta all’Ucraina. Dal Consiglio europeo sull’adesione all’Unione fino alle minacce nucleari di Putin, i banchi di prova dell’asse transatlantico

Più di una speranza, una promessa. Aprire le porte dell’Unione europea all’Ucraina è “una delle cose più importanti che possiamo fare”. Stefano Sannino è il capo della macchina diplomatica europea e non può che misurare le parole. Segretario generale del Servizio per l’Azione esterna (Eeas), ambasciatore di carriera con un lungo trascorso europeo, tra Roma, Madrid e Bruxelles, si dice nondimeno “ottimista” su un semaforo verde per l’Ucraina in Ue dal prossimo Consiglio europeo, convocato per giovedì e venerdì.

“La decisione è nelle mani dei capi di Stato e di governo”, ha spiegato intervenendo al Forum della Difesa Ue-Usa del think tank americano Atlantic Council insieme alla vicesegretaria di Stato americana Wendy Sherman. Ma, ha aggiunto, alla luce delle trattative in corso e del parere positivo della Commissione europea, “sono fiducioso che ci sarà una decisione positiva”.

Per l’Ucraina e gli ucraini la candidatura ufficiale a Stato membro è molto più di un gesto simbolico. Da giorni il telefono del presidente Volodymyr Zelensky è bollente. Dopo il tour a Kiev dei principali leader europei, fra gli ultimi Mario Draghi, Emmanuel Macron, Olaf Scholz, alla cornetta si alternano tutti, o quasi. Lo spagnolo Pedro Sánchez, il portoghese Antònio Costa, il croato Andrej Plenković. Perfino Viktor Orbàn, il più filorusso dei leader Ue, ha fatto un pubblico endorsement all’adesione ucraina. “Il senso di unità, la volontà e la determinazione di rimanere uniti sono molto forti – dice Sannino incalzato da Nick Schifrin di Pbs – sono sicuro che il Consiglio europeo sarà uno spartiacque”.

È un momento-verità per il fronte transatlantico. Da una parte la stanchezza si fa sentire. A Kiev temono, non senza ragioni, che gli alleati europei spingano per una tregua il più rapida possibile, anche a costo di accettare perdite di territorio. Un compromesso inaccettabile, ribadisce Zelensky insieme ai suoi, decisi a riconquistare “ogni centimetro” occupato dai russi. Ma le lancette non girano a favore degli occupati: se nel Sud la controffensiva ucraina mostra i primi risultati, nel Donbass l’avanzata russa procede, lenta ma inesorabile, con un enorme costo umano inflitto alla resistenza.

Sherman ripete il mantra della diplomazia americana: “Nulla sull’Ucraina senza l’Ucraina”. Sarà Kiev, non Washington DC, a “decidere del suo futuro”, garantisce la numero due di Antony Blinken, ricordando l’ultimo pacchetto di aiuti approvato dal Congresso americano la scorsa settimana, un miliardo di dollari, e l’invio dei lanciarazzi Mrls e Himars a lungo attesi dagli ucraini.

Dall’altra parte il rischio di un’escalation è reale. A Kaliningrad, l’énclave russa sottoposta a un blocco delle merci da parte della Lituania, la tensione può sfociare in uno scontro, “risponderemo con misure pratiche”, ha minacciato la portavoce di Sergey Lavrov, Maria Zakharova. Gli Stati Uniti, assicura Sherman, non prendono sottogamba neanche le rinnovate minacce nucleari di Mosca, dopo che Vladimir Putin ha annunciato l’inaugurazione di un nuovo missile balistico intercontinentale Sarmat entro la fine dell’anno. “È una situazione molto seria, teniamo conto di ogni possibilità”, dice Sherman, “siamo pronti, ma francamente spero che Putin capisca che avremmo una risposta appropriata e forte. E che l’escalation non è nel suo interesse”.


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