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Usa e Cina davanti alla (non) crisi dei lavori tecnologici

L’ansia per il crollo del comparto tecnologico accomuna le due potenze, ma per gli americani sembrerebbero esserci più opportunità di risalire la china. Anche cambiando città e reinventandosi in altre professioni. Per i giovani cinesi, invece, la prospettiva è ben più fosca tanto da aver creato una nuovo motto sociale: “Lascia che marcisca”

Nel settore high-tech, i lavoratori americani e cinesi stanno vivendo due situazioni che solo all’apparenza possono sembrare simili. L’assunto di base è che l’intero comparto ha ricevuto degli scossoni che ne hanno fatto drasticamente calare il valore azionario, con molte società che hanno deciso licenziamenti di massa. L’ultima, negli Stati Uniti, è stato il crypto-exchange Coinbase, che ha fatto fuori il 18% del suo personale. Così come, alla fine di febbraio, le cinque maggiori aziende cinesi di “edtech” (tecnologia dell’educazione) si sono alleggerite di 175.000 lavoratori in totale. La fotografia del momento potrebbe indicare a buon ragione che entrambe le potenze tecnologiche siano in difficoltà, ma ci sono altri aspetti che permettono di spiegare meglio ciò che sta accadendo.

Stati Uniti, tra ansia e opportunità

Il crollo azionario degli ultimi mesi, sommato al record negativo che stanno registrando in queste ore le criptovalute, ha alimentato un sentimento di ansia all’interno della comunità tech americana. Le start up liquidano la propria forza lavoro, mentre altre società bloccano le assunzioni perfino quando i colloqui con i candidati sono già in fase avanzata e le offerte sono partite. La domanda, pertanto, riguarda le cause che hanno portato a una situazione simile e la risposta, se vogliamo, potrebbe non esistere. “Quando la gente sostiene che le cose stanno rallentando, chiedo: su quali dati?” si interroga retoricamente Ryan Suttun, responsabile del reclutamento nell’area tecnologica per l’azienda di consulenza per le risorse umane, Robert Half. “Tutti parlano del mercato azionario in ribasso. Ebbene, il mercato azionario non sempre è un indicatore di assunzioni”.

I dati sembrano dargli ragione. Come ha scritto qualche giorno fa sul New York Times Shira Ovide, negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione per i lavori high-tech rasenta lo zero, o è quasi insignificante. Si parla dell’1,7%, ben al di sotto della media generale del 4%: addirittura, per quelli con maggior esperienza, la percentuale scende allo 0,2%. Per ogni lavoratore tech, ci sono in media più di due offerte di lavoro. Una testimonianza lampante arriva anche dallo stesso Elon Musk, finito nell’occhio del ciclone per le sue dichiarazioni sui tagli in Tesla che, poi, si è rimangiato: l’anno prossimo, “l’organico totale aumenterà” nonostante gli stipendi non cresceranno più di tanto.

I profili più qualificati, pertanto, continuano ad essere richiesti, anche di fronte a una oggettiva ondata di licenziamenti che, però, ha diverse ragioni per poter essere spiegata. Oltre al panico generale che si è venuto a creare, una di queste è dovuta al grande numero di persone che sono state assunte durante il momento migliore del settore, verificatosi lo scorso anno. In quel momento i candidati avevano un potere contrattuale molto più alto di quello che hanno oggi e potevano pretendere stipendi più elevati. Ora la situazione è cambiata, con il rallentamento del comparto tecnologico che ha costretto alcune aziende a dover mandare via parte dei loro dipendenti in eccesso.

La capacità di riadattamento sembra però accomunare i lavoratori americani. L’ansia sta aumentando in tutti i campi, è vero, ma allo stesso tempo ci sono percentuali che fanno ben sperare. Il 71% degli statunitensi crede infatti che questo sia un ottimo momento per cambiare la propria professione, anche perché il 58% si sente stressato quotidianamente nel suo posto di lavoro. Il 20% è anche disposto a spostarsi dalla propria città pur di cambiare aria, percentuale che sale al 27% tra gli under 40.

In questo modo, sembrerebbero allinearsi tutti i pianeti: i lavoratori infelici possono trovare nuovi stimoli, le città minori possono diventare più attraenti e le società possono conquistare i migliori talenti sul mercato, promettendo una cultura aziendale più rispettosa delle esigenze dei dipendenti. Il che vuol dire avere manager in grado di saper coltivare la carriera di un professionista, anche spiegandogli cosa c’è dietro le decisioni che vengono prese.

Cina, la speranza è l’alleata dei lavoratori

La possibilità di cambiare esisterebbe anche per i lavoratori cinesi occupati nel settore tech, ma le condizioni sono opposte a quelle dei colleghi americani. Mentre, come abbiamo visto, questi ultimi vedono il cambiamento come un’opportunità di miglioramento, in Cina non sempre è così. Anzi, per gli operatori tech accettare un nuovo lavoro significa molto spesso sottostare a condizioni peggiori rispetto alle precedenti.

Chi riesce a trovarlo si trova costretto ad accettare stipendi notevolmente più bassi, anche del 30%. “Non sono contento, ma quest’anno è stato così difficile che devo accontentarmi”, ha dichiarato un ex account manager che a dicembre ha perso il posto nella società di trasporti Didi Chuxing, pesantemente sanzionata dal regime di Xi Jinping. Nell’ultimo anno, infatti, i lavoratori del comparto tech hanno subìto licenziamenti, blocco delle assunzioni, perdita di benefit e riduzione dei salari.

La crisi riguarda per lo più i giovani tra i 18 e i 24 anni, la cui percentuale di disoccupazione è salita al 18,4% a maggio, con prospettive di peggioramento all’orizzonte. Questo perché ci sono circa 10 milioni di studenti di discipline tech che stanno per uscire dall’università e si metteranno alla ricerca di un lavoro nel settore. Molti di loro però hanno visto le loro offerte svanire nel nulla, tanto che si è diffuso il detto di essere “diplomati” da gruppi tecnologici: come a dire, ancor prima di essere laureati già vengono licenziati. Ci ridono su perché sembrerebbe essere l’unica cosa che possono fare. Per questo la parola “bailan” è diventata di uso comune, vuol dire “lascia che marcisca”, ovvero “ogni sforzo è inutile” e solo la speranza sembra essere loro alleata.

In questo caso, a svolgere un ruolo è il governo centrale di Pechino. La lotta alle Big Tech intrapresa da Xi Jinping ha fatto volatilizzare duemila miliardi di dollari, oltre a costringere gli imprenditori del settore a smettere di investire o comunque ridurre gli investimenti. La politica zero-Covid ha poi esasperato la situazione, con i lavoratori costretti a rimanere rintanati dentro casa e quindi complicando ancor di più la ricerca di una nuova professione per chi è rimasto senza.

Il rilancio avviene solo per i talenti più qualificati, che riescono in qualche modo a soddisfare le loro esigenze, mentre quelli più facili da sostituire stanno subendo un colpo durissimo. “Trovare lavoro”, ha aggiunto l’ex account manager di Didi, “non è mai stato così difficile”.

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