Intervista al leghista e leader del gruppo Ue Identità e democrazia. Salvini? Giusto tentare di mediare, partiamo dall’aggressore e sulla guerra nessuna ambiguità. Orban? Usa le sanzioni come una leva ma anche la Commissione ha i suoi errori. Ppe? Dialogo aperto
Marco Zanni è tra i volti di punta della Lega in Ue dove presiede il gruppo Identità e democrazia dove trova casa buona parte della famiglia sovranista europea, compreso il Rassemblement National di Marine Le Pen. Sulla guerra di Vladimir Putin in Ucraina la Lega “non ha ambiguità”, dice a Formiche.net, difendendo il tentativo di mediazione del segretario Matteo Salvini. Il dialogo è la stella polare anche per i rapporti con il Partito popolare europeo riunitosi a Rotterdam, “rimaniamo in contatto”.
Zanni, lo dice anche l’Ue: il viaggio di Salvini a Mosca sarebbe un assist a Putin.
Io non ci leggo un assist. Anzi, mi sembra che l’approccio sia lo stesso di tante istituzioni e Paesi europei: condannare l’aggressione ma tenere un canale aperto per parlare con il governo russo.
E serve a qualcosa?
Serve a cercare una strada che porti alla pace o almeno al cessate-il-fuoco. È quello che chiede la maggioranza degli italiani, è la stessa missione perseguita da Macron, Scholz, Michel e Draghi.
Sta parlando di capi di governo, non di partito.
Salvini è il leader di un partito chiave della coalizione di governo in Italia e non ha mai nascosto di voler lavorare per aprire un dialogo con la Russia. Ne ha già parlato con Draghi e, ovviamente, avrebbe concordato con il governo gli obiettivi e i dettagli della mediazione.
Quindi è normale incontrare quattro volte l’ambasciatore russo a Roma Sergey Razov in privato?
Razov è il più alto rappresentante dello Stato russo in Italia e se si vuole tenere aperto un canale è normale partire da lui. Come è normale partire dal Paese che ha aggredito e inviato i carri armati. Va da sé che qualsiasi opportunità debba poi essere concordata con il governo.
Ricapitolando: qual è la posizione della Lega sulla guerra? Aggredito e aggressore sullo stesso piano?
Assolutamente no, ma questo l’abbiamo detto fin dall’inizio. E lo abbiamo dimostrato con azioni concrete al governo, a partire dalle risoluzioni votate in Parlamento. Se però si vuole il cessate-il-fuoco come primo passo di una trattativa di pace, si deve parlare anzitutto con chi il fuoco lo ha aperto.
In Europa intanto c’è un vostro alleato che tira il freno delle sanzioni. Tempo di rivedere i rapporti con Viktor Orban?
Sulle sanzioni si fa molta confusione. L’Ungheria non è stata la sola a frenare il sesto pacchetto, a Germania, Polonia e Repubblica Ceca sono state concesse esenzioni simili. La spaccatura è stata trasversale e sul metodo adottato si può discutere.
Cioè?
La Commissione ha annunciato le nuove sanzioni con un mese di anticipo, poi ha fatto parziale marcia indietro sul pagamento del gas in rubli e sull’utilizzo delle riserve estere. Una gestione che mina la credibilità stessa di queste misure.
Resta il ricatto ungherese. Non un episodio, un metodo.
Entrambe le parti abbiano le loro colpe. A mio avviso l’ostruzionismo di Orban non è tanto legato alla Russia quanto alla guerra strumentale che la Commissione ha dichiarato all’Ungheria nei mesi scorsi sul Recovery fund e lo stato di diritto. Oggi Budapest risponde facendo valere il suo veto. L’unanimità rimane il baluardo di protezione delle prerogative nazionali di fronte agli attacchi strumentali di alcune istituzioni Ue.
A proposito di Orban, dove va la Lega in Europa? Il supergruppo sovranista è acqua passata?
La finestra per lavorare a quell’operazione politica si è aperta a inizio legislatura, ora l’orizzonte è il 2024. Continuiamo la costruzione politica di una forza conservatrice alternativa al Ppe e attendiamo di capire dove andranno i popolari. Ho sentito Manfred Weber dopo l’elezione a presidente e continuiamo a collaborare su tanti fronti. Il dialogo rimane aperto.