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Nella notte della sinistra riemerge l’agenda di Pasolini

La guerra in Europa sembra venuta a dire a un cattolicesimo popolare e a una sinistra post-ateista che è giunta l’ora di un nuovo incontro. Il commento di Riccardo Cristiano

C’è in questa “strisciante crisi di governo” un elemento di verità che va al di là del suo effettivo verificarsi e del naturale desiderio dei partiti di posizionamenti più vantaggiosi in vista delle certe elezioni politiche. Questa verità è che l’egemonia culturale della sinistra è venuta meno, rimane un ceto “culturale” che è nato nella vecchia sinistra, che è rimasto figlio dei suoi miti ormai sepolti, ma quella sinistra non esiste più. Così i tentativi di rifondarla intorno a scostamenti di bilancio, paura del caro-bollette e una bella dose di moralismo giustizialista sembra appagare il poco confessabile desiderio di allontanarsi dall’Europa in omaggio a vecchie fedeltà mai elaborate, all’allegria dei naufraghi ubriachi, ma non a risolvere il nodo di fondo. E il nodo di fondo è che la sinistra non esiste più da quando si è sposata la visione individualista e consumista. Questa scelta è stata compiuta sulla base del fallimento del modello economico al quale si ispirava la larga maggioranza della sinistra italiana di allora: “Se ha vinto il modello capitalista, individualista e consumista, facciamolo nostro e gestiamolo noi”. Fu la scelta di Bologna “città comunista e consumista”. C’è dunque l’idea di perpetrare un gruppo dirigente innestato su un’altra cultura alla base di tutto. La scelta non poteva che essere quella di accodarsi alla cultura più individualista e liberista disponibile: quella radicale.

La sinistra al tempo non condivise la lezione di Pasolini: il nuovo potere non era più clerico-fascista (Dio, patria, famiglia), il nuovo potere era individualista. Per rimanere forza di innovazione si doveva scegliere di andare contro, non verso il nuovo potere. Combattere il potere clerico-fascista non aveva più senso, essendo cambiato il potere.

La parabola drammatica del pontificato di Paolo VI testimonia la gravità dell’incomprensione di quegli anni: il papa della giustizia sociale, della Populorum Progressio, è diventato il papa del no alla pillola, al preservativo, anche per le pressioni e gli aut-aut curiali. Paolo VI volle che quell’enciclica venisse presentata come non vincolante per il futuro, ma è diventata l’intramontabile Titanic di una Chiesa incagliata nel controllo di ciò che si fa nei talami nunziali. La difesa ecclesiale della famiglia, per vincere, ha sposato quel liberismo, individualista in economia, che era pronto però a offrire in cambio limitazioni ai diritti civii. La difesa della vita così è diventata difesa del nascituro e del moribondo, gli altri si arrangino. Ora però importantissimi documenti che vengono dalla Pontificia Accademia per la Vita ci dicono che è cominciato un ripensamento decisivo. C’è qualcuno disposto a leggere, ad ascoltare?

Cattolicesimo e sinistra sono andati in urto per l’incapacità di parlarsi sul nuovo sistema sociale indispensabile dopo la liberazione della donna. Le donne e gli omosessuali sono usciti dai retrobottega della storia, ma nessuna idea che chiudesse l’epoca della loro discriminazione e della loro negazione in un nuovo ordine sociale è stata pensata. E per la prima volta le persone che vivono da sole sono di più di quelle che vivono in nucleo familiare.

Gli opposti estremismi, cioè la cultura dell’io sovrano che propone un individuo responsabile solo verso di sé, e dei diritti di Dio, che prefigurano un accordo trono-altare sulla limitazione del diritti dell’individuo solo all’inizio e alla fine della vita, hanno reso queste due culture nemiche, ma anche alleate del loro nemico di sempre, l’individualismo liberista. La teologia teocon, splendidamente illustrata dal professor Massimo Borghesi, è più diffusa in Italia di quanto si racconti. È per questo che la Chiesa italiana appare una zavorra per la Chiesa ospedale da campo di Francesco.

La sinistra italiana appare invece una zavorra per la costruzione di una sinistra europea. Ancorata a un sentimento di antiamericanismo impulsivo e primordiale, la sinistra sembra riorganizzarsi in nome di una malintesa solidarietà anti-Nato, invece che sotto la sua tradizionale bandiera di difesa del diritto di autodeterminazione dei popoli. In realtà è l’idea che i valori non abbiano valore, solo i soldi ne avrebbero, a rendere questa posizione convincente davanti al costo economico della guerra. Ma può essere la Nato, casamadre di tanti tradimenti di tanti popoli, la ciambella con cui deliziarsi? È qui che si vede il passatismo della sinistra. Sbagliare in tanti casi non può richiedere un altro sbaglio: piuttosto, credendo nei propri valori, ci si poteva attendere una richiesta di autocritica. Essendo Macron e Scholz alla guida delle principali potenze europee, la sinistra soprattutto italiana poteva proporre all’Europa di ripartire da qui, dalla rivendicazione di una nuova coerenza, di una nuova visione, di una nuova carta di Helsinki per l’Europa, non di un nuovo errore per pareggiare i precedenti. Ma questo non si vede.

La guerra in Europa sembra venuta a dire a un cattolicesimo popolare e a una sinistra post-ateista che è giunta l’ora di un nuovo incontro. Liberarsi dalla misoginia e dalla discriminazione degli omosessuali è possibile ora più che mai, grazie a Francesco. Ma questo sarebbe possibile rinunciando all’estremismo dell’io sovrano e all’idea che i valori non hanno alcun valore. Perché l’incontro tra modernità e cattolicesimo richiede un incontro laico nella prospettiva del bene comune, non agende imbevuta di estremismo, di irresponsabilità o di opportunismo.

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