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L’Arabia Saudita verso il picco della produzione di petrolio. E poi?

Il principe bin Salman ha svelato che una volta raggiunti i 13 milioni di barili al giorno (probabilmente nel 2027), allora Riad non avrà più possibilità di aumentare le capacità produttive. Perché? Strategia di mercato (pensando alla decarbonizzazione) o limiti dettati dalla geologia?

A fine giugno, la Reuters ottenne senza volerlo un documento video molto interessante, in parte sottovalutato ma che ora torna utilissimo. In quel video c’è il presidente statunitense, Joe Biden, che cammina lungo i vialetti del resort di Elmau dov’erano ospitati i leader del G7 riuniti in vertice, e il francese Emmanuel Macron che lo rincorre, lo ferma e irrompe con: “Ho avuto una telefonata con MbZ”, usando un’abbreviazione per il leader degli Emirati Arabi Uniti, Sheikh Mohammed bin Zayed — i due si sarebbero incontrati qualche settimana dopo. “Mi ha detto due cose. Sono al massimo, al massimo della capacità produttiva. Questo è ciò che sostiene. E poi ha detto che (i) sauditi possono aumentare di 150 (mila barili al giorno). Forse un po’ di più, ma non hanno capacità enormi prima di sei mesi”, diceva il francese all’americano.

Biden sembrava tra lo stupito (forse di ricevere quell’informazione in pubblico, col rischio di finire intercettato dai microfoni dei giornalisti, come è stato) e il preoccupato. Il vertice del G7 e la visita che da lì a breve avrebbe compiuto a Jeddah, avevano come obiettivo anche quello di parlare di energia. In particolare di parlare del mercato energetico globale (dove gas e petrolio sono tornati dominanti sulla narrazione della decarbonizzazione) dopo lo scombussolamento subito dall’inizio della guerra russa in Ucraina.

A distanza di un mese, quello che diceva Macron si rivela vero, ma con una proiezione a più lunga gittata (e più preoccupante). Il livello al quale la produzione di petrolio saudita raggiungerà il picco sembra infatti essere molto più basso di quanto molti avessero previsto, ed è molto più basso di quanto i sauditi abbiano mai lasciato intendere; e tutto con il mondo ancora affamato di combustibili fossili.

Per anni, i ministri del petrolio e i reali sauditi hanno eluso una delle questioni più importanti che il mercato energetico deve affrontare: qual è il limite massimo a lungo termine dei giacimenti petroliferi del regno? L’ipotesi era che si potesse sempre pompare di più e più a lungo; se i sauditi conoscevano la risposta, la tenevano segreta perché aveva chiaramente un valore strategico molto profondo, essendo la dimensione internazionale del regno ,olio legata a queste potenzialità.

Poi, nei giorni scorsi, il principe ereditario Mohammed bin Salman ha dato la notizia, rivelando che la capacità massima definitiva è di 13 milioni di barili al giorno. Può essere un’informazioni uscita casualmente, può essere un messaggio chiaro al mondo – in particolare a Washington – che arriva a pochi giorni dalla visita di Biden in Medio Oriente e dopo un colloquio avuto con Vladimir Putin.

Pressare Riad ha un limite, l’Arabia Saudita è uno swing producer nel mondo del petrolio, ma i reservoir sono quantità finite e le apparecchiature d’estrazione sono strumenti meccanici con delle capacità definite; inoltre il regno ha i suoi interessi da tutelare e per di più fino a pochi mesi fa l‘effetto del mondo ESG portava a rallentare certi generi di investimenti. Questo significa problemi a lungo termine per l’economia globale, spiega in un’analisi Javier Blas, columnist della Bloomberg tra i più seguiti e affidabili per gli operatori di mercato.

Il principe bin Salman ha deviato l’affermazione sottolineando che il mondo — e non solo i Paesi come l’Arabia Saudita — ha bisogno di investire nella produzione di combustibili fossili nei prossimi due decenni per soddisfare la crescente domanda globale ed evitare carenze energetiche. “Il Regno farà la sua parte in questo senso, poiché ha annunciato un aumento della sua capacità produttiva fino a 13 milioni di barili al giorno, dopodiché non avrà più alcuna capacità aggiuntiva per aumentare la produzione”, ha detto nel discorso che ha tenuto durante il Security and Development Summit di Jeddah.

Riad ha in corso un piano per aumentare gli output a 13 milioni di barili giornalieri entro il 2027, mentre un aggiustamento sopra i 12 milioni è previsto per il 2024. Dopo di che il più grande produttore al mondo della principale materia prima energetica non avrà più capacità di aumentare le proprie produzioni. Fissare questo tetto, in modo così netto, è una novità, anche perché un paio di decenni fa si presumeva che Riad potesse raggiungere agevolmente i 15 milioni di barili, e che quello non fosse il massimo producibile.

C’è della strategia: per esempio, i sauditi potrebbero portarsi avanti sull’andamento del mercato, magari prevedendo che nel corso del prossimo decennio la domanda inizi a calare sensibilmente – frutto delle modifiche al menù energetico richieste dalle politiche per combattere il cambiamento climatico. Allora una grossa produzione di un bene non troppo richiesto dal mercato lo svaluterebbe in modo eccessivo (secondo la classica legge della domanda/offerta) e sarebbe anti-economico investire ingenti somme per aumentare l’output.

“La previsione della domanda di petrolio è tanto un’arte quanto una scienza, e il regno è conservatore per natura”, fa notare Blas. Il punto è comprendere cosa ha portato bin Salman a dettare quel vincolo e a rassicurare contemporaneamente gli investitori. È chiaro che se dovesse esserci una condizione di mercato vantaggiosa nei prossimi anni, Riad potrebbe rivedere le sue volontà di investimenti in nuove infrastrutture di pompaggio, ma il dubbio dei dubbi è un altro: c’è una questione geologica dietro a certe affermazioni?

Se l’ostacolo all’aumento della produzione dovesse essere la geologia (e non solo le quantità assolute disponibili nei reservoir, ma anche le possibilità di raggiungerle), piuttosto che il pessimismo sulla futura domanda di petrolio, allora il problema potrebbe essere ancora più grande. Ci sarebbe in futuro scarsità di materia prima, e sarebbe quello a guidare il mercato.

E va tenuto conto che davanti alla volontà (politica) statunitense di non espandere le produzioni, e davanti ai problemi internazionali della Russia, nonostante si stia vivendo un’epoca di cambiamenti climatici, la produzione di petrolio saudita sarà sempre più determinante.

Il rischio è che la domanda di petrolio raggiungerà il picco, “perché non ci sarà più offerta”, scrive Blas. In definitiva, l’analista valuta due scenari: passare a fonti di energia a basso contenuto di carbonio come l’energia nucleare o l’energia eolica; o passare attraverso prezzi del petrolio molto più alti, un’inflazione più rapida e una crescita economica più lenta. “Se non prendiamo la prima strada, saremo costretti a seguire la seconda”.


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