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Le auto di Xi (non) sfrecceranno in Italia?

La sinoamericana Silk-Faw ha promesso un maxi-investimento nella Motor Valley emiliana: 1 miliardo di euro. Produrrà auto Hongqi, il marchio preferito dal Partito comunista cinese e Xi Jinping, ma finora del piano (elogiato dalla politica) non si vede traccia e il palazzo si spazientisce

Chissà se le auto di Xi arriveranno in Italia. Si attendono risposte da Silk-Faw, la joint venture sino-americana nata nel 2020 tra il gruppo statale cinese Faw e l’imprenditore americano Johnatan Krane.

Risale a due anni fa la promessa di un maxi-investimento per fabbricare auto-elettriche in Emilia-Romagna. Siamo nella Motor Valley, la culla dell’automobilismo italiano, che ha visto crescere e correre marchi come Lamborghini, Maserati e Ferrari. Il piano prevede la messa in campo di una cifra monstre: un miliardo di euro, tra i 1500 e i 3000 i nuovi posti di lavoro previsti. Si parte dal 2023. Anzi, si dovrebbe partire.

Ad oggi non si è mossa una foglia, lamenta la regione guidata dal dem Stefano Bonaccini, “ci devono dire se il progetto va avanti”, ha detto alla Reuters l’assessore allo Sviluppo economico Vincenzo Colla, “se è morto ce lo devono dire”. I dubbi saranno sciolti il 14 luglio, quando andrà in scena il faccia a faccia tra regione e dirigenza dell’azienda. La posta in gioco è proporzionale alla delusione e i visi tirati in queste ore.

A ballare sul filo è infatti un piano di investimenti su cui la politica ha messo eccome la faccia, e da tempo. Era il maggio del 2020 quando il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano presenziava alla cerimonia (online, per il Covid). A dare il suo imprimatur insieme ai Cinque Stelle anche l’ex sottosegretario al Mise, il dem Gian Paolo Manzella, convinto allora che l’accordo con Silk-Faw fosse “il segno della forza attrattiva” della “Motor Valley emiliana”. Nei piani del gruppo sino-americano, la produzione dell’hypercar HongqiS9, un Suv e una supercar elettrica.

E qui c’è il peso politico di un investimento che ha attirato non poche attenzioni anche tra i palazzi romani. Hongqi, letteralmente “bandiera rossa”, non è infatti solo il più antico marchio automobilistico cinese ma anche il più amato e usato dalla dirigenza del Partito comunista. A partire dal segretario: quando nel marzo del 2019 ha solcato le strade di Roma, prima di firmare il memorandum italiano per la Via della Seta, Xi Jinping era seduto sul suo personale modello (blindato), la N501. Una vecchia tradizione: Hongqi ha sempre messo la firma sulle lussuose limousine hi-tech dei dirigenti del partito. Ne aveva una Mao Zedong, colore beige, ci girava il successore Deng Xiaoping, la sua color cammello.

Insomma, l’Italia può diventare la nuova fucina delle “Range rover” preferite dallo Stato cinese. O meglio potrebbe, perché adesso in bilico, insieme all’investimento, ci sono anche i fondi pubblici stanziati ad hoc dalla regione: 4,5 milioni di euro. Finché il piano non prenderà forma, ha tuonato di recente Bonaccini, “non gli diamo un euro” dei fondi assegnati.

Ma i mal di pancia si contano anche tra i Cinque Stelle: un tempo entusiasti alfieri delle porte aperte agli investimenti cinesi, oggi sono i più inflessibili e chiedono alla Commissione Ue di fare “chiarezza sui versamenti bancari di Silk Faw in Italia e sul rispetto delle normative europee sui finanziamenti cinesi per questo progetto”, si legge in una nota dell’europarlamentare Sabrina Pignedoli, firmataria di un’interrogazione per la Commissione Ue di marzo in cui si parla di “un’operazione con molti punti oscuri”.

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