Tra liti di partito, crisi minacciate e crisi vere, diffidenze tra alleati, la politica italiana si scorda del contesto internazionale e si lancia in campagna elettorale. Benvenuti alla fiera del cicaleggio. Il commento di Luigi Tivelli
In pochi sanno che nel salone più rappresentativo della Camera dei Deputati, la Sala della Lupa, oltre ad una splendida lupa capitolina in bronzo, c’è nella volta uno splendido affresco relativo alla presa da parte dei garibaldini di Porta Pia. In questo affresco c’è un lungo striscione a forme ricurve che reca una scritta che si legge molto chiaramente e recita: “A Roma ci siamo e vi resteremo”.
Ho sempre pensato che questo “slogan”, consapevolmente o inconsapevolmente, sia stato fatto proprio da molti deputati dei più svariati colori, che una volta conseguito il seggio a Montecitorio facevano, in vari casi giustamente, di tutto per mantenerlo nel tempo e per “restare a Roma”. Non so se e quanti deputati grillini, giunti a Montecitorio dal 2013 in poi, e arrivati in massa nel 2018, hanno fatto proprio fermamente questo slogan.
Di qui la questione in ballo in questi giorni sul divieto di un mandato ulteriore oltre al secondo. Beppe Grillo, definito, non ho mai capito perché, “l’Elevato”, ha tenuto sulla corda nei giorni scorsi la pattuglia di deputati rimasta nel Movimento Cinque Stelle e non più maggioritaria. Un suo amico genovese che lo conosce da molto tempo e molto bene mi ha sempre detto che Grillo capisce ben poco di politica. Non so se sia effettivamente così. Certamente a dir poco è oscillante.
Voleva che i suoi adepti parlamentari aprissero il Parlamento come una scatola di tonno. E invece sono rimaste oggi nel tappeto parlamentare due scatolette di tonno. Una in cui sono rinchiusi i deputati Cinque Stelle rimasti fedeli a lui e a Conte (non so per quanto ancora…). Nell’altra, in cui ci sono pezzi di tonno decisamente più furbi, stanno quei 61 parlamentari “pentiti” che hanno aderito al nuovo movimento di Di Maio.
Vari di questi resteranno a casa perché i cinquestelle hanno voluto la riduzione a 400 del numero dei deputati e a 200 dei senatori, ma non hanno il problema del terzo mandato e una parte può ripresentarsi, anche se non leggono nei sondaggi che quotano la nuova forza attorno al 3 o al 3,5 per cento. Ora, l’M5S ha anche dei padri nobili, con qualche referenza culturale. Uno di questi, rimasto dal lato dei cinquestelle, è il sociologo del lavoro e del tempo libero Domenico De Masi.
Ebbene, come è noto, ha dichiarato al Fatto Quotidiano: “Secondo Grillo, Draghi gli ha chiesto di rimuovere Conte dal Movimento, perché inadeguato”. Forse al pur bravo De Masi è scappata una parola di troppo perché ne è seguito il tormentone che sappiamo e che ha costretto il povero Draghi a lasciare in anticipo il vertice Nato, che ha indotto il mai divenuto vero leader dei cinquestelle Giuseppe Conte a protestare fermamente, anche presso il Capo dello Stato Sergio Mattarella con cui ha avuto un incontro di un’ora che ha creato grande agitazione nella maggioranza.
Grillo è specialista nel sostenere tutto e il contrario di tutto, specie nelle sue missioni a Roma. Nel suo rapporto col governo prima ha dichiarato che “il Movimento non esce dall’esecutivo”, salvo poi dichiarare “valutiamo l’appoggio esterno”. Quanto al limite dei due mandati, per lui è un totem ma si potrebbe pensare insieme a Conte a qualche eccezione. Tutto questo ha generato uno di quegli incendi tipici della vita politica italiana, già traballante perché negli stessi giorni i senatori del centrodestra votavano tutti assieme, per non regalare solo alla Meloni il consenso dei balneari, un emendamento per non la non attuazione della direttiva Bolkestein, contrario alle indicazioni di voto sul sempre in corso disegno di legge sulla concorrenza.
I cinquestelle a loro volta hanno provato a infilare in un decreto molto importante un emendamento contro l’inceneritore a Roma, senza riuscirvi, e procede il metodo di piantare bandiere e bandierine da parte di quasi tutti i partiti e i rispettivi leader. L’ultima moda (pur con qualche fondamento) è lo ius scholae, una bandiera impugnata e piantata soprattutto da Enrico Letta che ha suscitato l’ira di Salvini e la destra.
In sintesi, tra giravolte soprattutto ma non solo di Grillo, gag, atti d’accusa, durissime impuntature di Conte che mi è sempre sembrato vedovo del suo ruolo di premier verso Mario Draghi, si procede a pezzi e bocconi, mentre emergono le fatiche dell’attuazione del Pnrr non solo di tipo parlamentare ma anche di tipo amministrativo, perché pare che molti direttori generali, rispetto a certe procedure, non sappiano da che parte voltarsi.
Siamo alla fiera della cicalecciocrazia, il dominio in politica del cicaleccio, e tutti sanno quanto cantano e sprecano le cicale. Non resta che da sperare nell’equilibrio, nella fermezza, nell’autorevolezza di Draghi, che ha affermato di non aver mai messo minimamente in discussione il ruolo di Conte e che il Governo prosegue con la stessa maggioranza, ma in qualche caso messa a dura prova, nell’interesse superiore del Paese.