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La provocazione di Calenda e le liste di Letta. La lezione di Galli al Pd

Secondo il politologo ed ex deputato del Pd, “la destra, inutile nascondercelo, prende i voti dei delusi, di chi ha un problema che il centrosinistra non ha saputo risolvere”. Enrico Letta non può non tenerne conto

La partita è tra élite collaudate e vasta platea di piccoli borghesi, portatori di disagi e malumori. Secondo il prof. Carlo Galli, storico delle Dottrine politiche all’Università di Bologna, già deputato dem nella scorsa legislatura, il Pd è atteso da un doppio bivio: intanto accettare alleanze in chiave elettorale che devono sbarrare la strada agli avversari e, in un secondo momento, contarsi e provare a trovare una quadra a urne chiuse. “La destra? Intercetta i voti dei delusi, di chi ha un problema che il centrosinistra non ha saputo risolvere. Calenda autocandidato premier? Una provocazione”.

Ci sono alleanze che siamo costretti a fare, dice Letta in Direzione. Lo dice a Calenda con riferimento al M5S?

Sì. Penso che intanto lo dica ai suoi, che non sono entusiasti di tornare ad avere rapporti con i Cinque Stelle. E lo dice anche a Calenda, che aveva posto dei veti espliciti che probabilmente non poteva permettersi. E poi poi lo dice, forse, anche a Renzi, ma in ogni caso dice la verità. Cioè ci sono alleanze, data la legge elettorale, che il Pd deve fare se non vuole perdere tutti i seggi maggioritari. Sono alleanze a puro scopo elettorale, non alleanze di carattere vincolante o programmatico.

L’errore che anche Bonaccini imputa a Letta è di aver cocciutamente difeso il tandem con Conte: come se ne esce a questo punto?

Bonaccini, diciamo così, in tempi normali, legittimamente critica la politica del suo segretario, mantenendo, come dire una prossimità dinamica, una dialettica interna, che in un partito come il Pd, che è esso stesso un campo largo, non è assolutamente prevedibile. Bonaccini viene dai comunisti, Letta dai democristiani e hanno un modo di pensare alla politica relativamente diverso. Bonaccini è stato anche piuttosto vicino alla segreteria Renzi ed è un uomo di grande pragmatismo e di grande capacità amministrativa, ma al tempo stesso di grande proiezione democratica e popolare: un ex-comunista emiliano.

Letta?

È tutto diverso. Penso che in questa fase elettorale Bonaccini, dopo aver fatto i propri ragionamenti e aver fatto valere le proprie idee, sia assolutamente in linea rispetto al partito che, ripeto, è una linea obbligata, è veramente nelle cose. In realtà i problemi politici cominceranno dopo le elezioni. Adesso, prima delle elezioni, ci sono soltanto problemi tecnici.

Ovvero?

C’è chi verrà incorporato dentro le liste del Pd, presumibilmente Di Maio e Speranza, chi invece resterà fuori dalle liste del Pd all’interno di altre forze politiche, legate al Pd da patti elettorali. Dovremmo prepararci a una strategia elettorale che deve mettere nei collegi sicuri, e nei collegi contendibili, una certa quota di politici del Pd, una certa quota di politici di Calenda, una certa quota di altri politici, sulla base di proporzioni approssimative ma insomma non completamente irrazionali. Il motivo? Per non lasciare tutti i seggi maggioritari alla destra. In Parlamento ci si conterà e si comincerà a far politica.

Quando Calenda avanza la propria candidatura a premier lo fa per dare un segnale anche di stimolo a un Pd che è parso a tratti ancora un po’ bloccato sul contismo?

Qui non si tratta di coraggio, ma di provocazione. Calenda sta dicendo “io sto con voi, mi alleo con voi, anche se non mi piacete, e voi vi alleate con me, anche se non vi piaccio, su un programma che è quello del Fronte repubblicano”. Con un programma tarato sull’agenda Draghi prima ancora che Draghi diventasse presidente del Consiglio. Inoltre Calenda vuole sbarrare la strada alla eventuale candidatura a premier del segretario del Partito Democratico. Ma per ora questo è un problema di lana caprina, perché non sta scritto da nessuna parte che le forze politiche vanno alle elezioni indicando quello che sarà il loro candidato al ruolo di presidente del Consiglio. Anche perché c’è da ricordare che il presidente del Consiglio lo sceglie il capo dello Stato e non i cittadini e neanche i partiti.

Vede un dualismo Letta-Calenda?

Il rapporto dialettico fra Pd e Calenda sulla premiership ha un grosso impatto mediatico, e avrà anche un grosso impatto tra i cittadini elettori. Perché è evidente che sapere quale personalità viene indicata dai partiti per essere il presidente del Consiglio aiuta l’elettore a decidere. Ma la mossa di Calenda va decifrata così: io, Calenda porto l’agenda Draghi (che ho pensato prima di Draghi) e mi piacerebbe molto che il primo ministro fosse Draghi e non Letta. Che poi Calenda abbia il consenso di Letta e dello stesso Draghi è un’altra cosa.

Dalla Direzione Pd emerge che il pareggio non è contemplato: esiste un bipolarismo valoriale tra progressisti e conservatori?

Io non mi sentirei di definire la destra di oggi una destra conservatrice. Vi sono molti altri aggettivi con i quali la si può definire, ma la partita non è tra progressisti e conservatori. La partita è fra quella che si potrebbe definire élite alto-borghese che propone la permanenza dell’Italia all’interno di circuiti politici internazionali collaudati; e una vasta platea di Italia, diciamo così, piccolo borghese, portatrice di disagi, malumori, interessi settoriali, meno coinvolta nella dimensione valoriale, illuministica e programmatica, che viene fatta propria dal centro sinistra. Un’Italia più interessata alla difesa del tenore di vita, del proprio piccolo business e a far valere la propria protesta, non sempre immotivata, sia ben chiaro. La destra i voti li prende sulla base del fatto che i problemi sono reali e a quei problemi il centro sinistra non dà (per ora) soluzione.

Quale la via di uscita?

Non è normale che un Paese di democrazia occidentale fondi la propria politica sull’assenza di politica. Il conflitto politico è fisiologico. Abbiamo voluto la democrazia perché questo conflitto potesse manifestarsi. Allora, quando quando Letta dice o noi o loro, e non c’è pareggio, osservo che il pareggio, invece, può esserci, sotto il profilo meramente numerico. Evidentemente Letta vuol dire che non ci sono posizioni politiche intermedie e che a nessuna forza di centro sarà consentita una politica dei due forni.

Cioè sta dicendo addio al centro?

No, a Calenda dice “non sei la Democrazia Cristiana, sei piccolo”. E oltretutto il centro c’è già, ed è il Pd. Letta sta dicendo che la struttura dell’azione dello spazio politico italiano è una bipolare. E certo questo è un modo per dare forza al Pd, cioè per dire che chi non vuole stare con la destra può stare solo col Pd. Spazio per terze forze, non ce n’è. E nemmeno per una sinistra autonoma dal Pd (tranne che non sia ciò che resta dei 5 Stelle).

Anche Emma Bonino ha osservato che c’è un certo accanimento mediatico personale contro Giorgia Meloni: e se fosse capitato a parti invertite?

Io trovo detestabile l’idea di fare polemica contro le donne o contro una persona di bassa statura. Veramente mi sembra che siamo all’asilo infantile. Conflitto di idee, finché si vuole. E anche di interessi. Ma, per favore, gli italiani hanno il diritto di avere un ceto politico un po’ più raffinato.

@FDepalo

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