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Un Centro per la partecipazione democratica, non solo per le elezioni

Gli aspiranti costruttori di centri larghi o stretti si confrontino con gli insegnamenti della storia, prima di assumere iniziative potenzialmente fallimentari. Il commento di Raffaele Reina

Al Centro, al Centro… tutti al Centro! Il farlocco bipolarismo destra-sinistra e la fumosa alternanza in un trentennio non hanno realizzato una politica operosa, tanto che non c’è stata governabilità nella stabilità, come veniva promesso.

L’abnorme astensionismo agli ultimi ballottaggi è l’ulteriore conferma di una politica scialba, senza attrazione, confusa, inconcludente. La clamorosa crisi del M5S, primo gruppo politico in Parlamento, spiega bene il fallimento dei partiti nuovisti della cd Seconda Repubblica, caratterizzato da improvvisazione, evanescenza, astrattezza.

I partiti politici figli della cultura illuminista, rivoluzionarono le istituzioni medioevali in Europa, dove il “trono e l’altare” incarnavano il potere assoluto. Tramontato l’ancien regime, nasceva una nuova Europa, si affacciava timidamente nello spazio pubblico l’impegno sociale e politico. Socialisti e cattolici si rivelarono subito una realtà in fermento, feconda, molto vivace.

La pubblicazione della Rerum Novarum, enciclica a carattere sociale promulgata da Leone XIII nel 1891, agevolò l’avanzare di un progetto che dava dignità al lavoro, come mai era avvenuto prima. Sturzo ritenne giusto, vivendo in realtà degradate, presentare a Caltagirone nel dicembre 1905 una compiuta relazione sulle possibili idee che avrebbero dovuto caratterizzare un futuro partito di ispirazione cristiana, popolare, di Centro prossimo a veder la luce, nel giro di qualche anno, a difesa degli sfruttati, dei ceti medi e della piccola borghesia.

Lo scoppio della Prima guerra mondiale, se da un lato rallentò i lavori di costruzione della formazione politica, dall’altro accelerò la fine dello stato liberale di stampo giolittiano, rendendo più agevole l’ingresso nelle istituzioni dei partiti di massa, segnatamente il partito popolare guidato da don Sturzo e il partito socialista.

Il 18 gennaio 1919 don Luigi e la piccola costituente popolare potevano finalmente annunciare che il partito era pronto per contribuire alla rinascita civile, sociale, politica, economica dell’Italia dopo il tragico conflitto e la crisi dello Stato guidato da Giolitti. Il partito popolare di ispirazione cristiana, di Centro, concorrente molto attivo, era considerato soggetto ingombrante dalla politica di quel tempo, a sinistra per ragioni sociali a destra per motivi politici in quanto sottraeva spazio al mondo liberale laico e laicista, ma la presenza di un partito di Centro non era un’anomalia, anzi, era naturale, e lo è tuttora.

Alla fine del XIX secolo in Europa gli interessi cattolici erano sempre più discriminati, sia dall’agire liberal-agnostico che da quello anticattolico. La storia di quanto avvenne al Reichstag in Germania e alla House of Commons in Inghilterra, dove i partiti di centro come il Zentrum e quello del “centro” irlandese costrinsero le alte personalità governative a trattare con questi. Essi non solo conquistarono il legittimo riconoscimento, ma ebbero anche ragione nelle loro rivendicazioni che contestavano le iniziative anticattoliche del Kulturkampf in Germania, e per l’affermazione della libertà dell’Irlanda. Tale posizione di “centro” fu tenuta dallo stesso Sturzo a Caltagirone negli anni 1899-1904 che gli permise di prevalere nelle elezioni amministrative in quel comune che guidò per un quinquennio.

Alle elezioni politiche del 1919, dopo la nascita del partito popolare, Sturzo conseguì un successo imprevisto: cento deputati nel Parlamento del Regno. Un partito appena nato, che non aveva nessuna voglia di governare, tanto che svolse la sua campagna elettorale in opposizione ai governi uscenti di stampo giolittiano. Sturzo auspicava un partito con vocazione non governativa, ma la divisione che c’era nella destra liberale e le difficoltà di un’alleanza con il socialismo riformista ed estremo imposero ai popolari di partecipare al governo senza responsabilità, con posizione di rincalzo.

Ecco, cari Calenda, Renzi, Toti, Brugnano e altri il partito di “centro” pensato dal prete siciliano non nacque per vincere le elezioni, ma semplicemente per dare voce e dignità a chi era stato per decenni escluso, emarginato dalla vita politica e amministrativa e per rendere in concreto partecipata la democrazia dell’epoca. Esisteva allora un sistema elettorale bislacco come ora, pressappoco maggioritario, che Sturzo e Turati (PSI) contrastarono con le loro decise battaglie, tanto da far approvare una riforma elettorale di tipo proporzionale con preferenze.

Pensare al Centro ha un significato se si vota con una legge proporzionale con preferenze. Il Centro “popolare” non si configurava come luogo geometrico, ma, partendo dal riconoscimento della dignità della persona umana, come una politica: di mediazione e di sintesi dei numerosi interessi presenti ciclicamente nella società, che pur contrastanti e in conflitto devono essere portati ad unità, a nuova sintesi. La storica affermazione di Alcide De Gasperi la “DC è un partito di centro che guarda a sinistra”, pronunciata nel dopoguerra per chiarire ai giovani “dossettiani” che partito fosse la DC, spiega bene come lo statista trentino si riferisse a una politica e non a una collocazione. Gli aspiranti costruttori di centri larghi o stretti si confrontino con gli insegnamenti della storia, prima di assumere iniziative potenzialmente fallimentari.

 

 

 

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