Lega, FdI e FI godono di un unico corpo elettorale da nord a sud, con un’unica mentalità. La trazione di Meloni non altera per nulla questa logica tradizionale della coalizione, se non il presupposto della inseparabilità del centro dalla destra, accordo che eviterà di cadere nel difetto più grande in cui è incorso il centrodestra, vale a dire il trasformismo velleitario dei personalismi. Il commento di Benedetto Ippolito
Siamo ormai nel pieno della campagna elettorale che ci porterà rapidamente alle elezioni del 25 settembre.
Il dato politico importante è dato dalla ritrovata unità del centrodestra, dopo la caotica legislatura che si va chiudendo, e lo spappolamento di quello che resta del “campo largo” di centrosinistra.
Non si tratta di un accadimento contingente, bensì del risultato fattuale di una lunga storia che rimonta a tempi molto remoti.
L’area progressista è un coagulo disomogeneo di forze liberali confliggenti, Calenda e Renzi, di forze socialiste antiche, Pd e Sinistra radicale, e di forze movimentiste, a loro volta divise in quel che resta del M5S.
Anche se dovesse almeno una parte di questa area trovare una quadra, non sarebbe comunque possibile una convivenza maggioritaria e un’organicità positiva di governo tra gli azionisti. Non si può stare insieme solo perché si ha un nemico, soprattutto se questi è compatto, unito, con un progetto ideale e amministrativo collaudato da decenni.
Il bisogno impellente di dare democrazia sostanziale alla nostra Repubblica riposa nella riuscita elettorale, auspicata e probabile, del centrodestra.
Come abbiamo avuto modo di scrivere a più riprese in questi anni, si tratta da questo lato di una molteplicità di partiti, Lega, FdI e FI, che godono di un unico corpo elettorale da nord a sud, con un’unica mentalità.
La trazione della Meloni non altera per nulla questa logica tradizionale della coalizione, se non il presupposto della inseparabilità del centro dalla destra, accordo che eviterà di cadere nel difetto più grande in cui è incorso il centrodestra dalla sua fondazione nel 1994, vale a dire il trasformismo velleitario dei personalismi.
Tutti i partiti sono essenziali a questo progetto liberal-conservatore: la solidità statuale della visione di Meloni, la sensibilità liberale di Berlusconi, l’apporto cattolico di Lupi e Cesa.
Possiamo sperare realisticamente per l’Italia in una legislatura stabile, con un governo forte e coeso, il quale concederà un tempo utile all’opposizione, necessario soprattutto per trovare una possibile identità d’insieme e una leadership condivisa per il domani.
Il prossimo lustro vedrà, insomma, una democrazia sostanziale dare corpo alla nostra politica repubblicana, con un centrodestra maturo e idoneo per traghettare la nazione verso la stabilità, lo snellimento amministrativo e le altre riforme, specialmente giustizia e fisco, assolutamente indispensabili.
I dubbi sull’Atlantismo e sulla tenuta della politica estera non esistono perché sono, a ben vedere, unicamente delle oggettive mistificazioni, perfettamente rispondenti, d’altronde, alla logica della campagna elettorale che finirà più rapidamente della sua drammatica incubazione.