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280 miliardi. L’America si compatta sui semiconduttori (e contro la Cina)

Indo Pacifico, perché chip e supply chain sono il fulcro della contesa Usa-Cina

Con 64 voti favorevoli, anche repubblicani, il Senato ha approvato il Chips and Science Act, un pacchetto da 280 miliardi di dollari con cui Washington vuole liberarsi dalla dipendenza dei semiconduttori asiatici. Esultano Biden e gli industriali. Molto critico invece Bernie Sanders, unico dem a votare contro. Per Pechino, il disegno di legge sarebbe roba da “guerra fredda”

Se mai ci fosse stato bisogno di una prova concreta per dimostrare quanto gli Stati Uniti abbiano a cuore la sfida con la Cina, questa è arrivata ieri dal Senato. Con 33 voti contrari ma 64 favorevoli, compresi i 17 arrivati dalle fila repubblicane, è stato approvato il Chips and Science Act, il pacchetto da 280 miliardi di dollari con cui l’America intende sovvenzionare la propria industria di semiconduttori per slegarsi dalla dipendenza asiatica. Era una delle priorità del presidente Joe Biden, fermo sostenitore della proposta che, ha scritto in una nota, ritiene “significherà catene di approvvigionamento americane più resilienti” per non dipendere “così tanto dai Paesi stranieri per le tecnologie cruciali di cui abbiamo bisogno” e per fornire gli Stati Uniti di un piano industriale a lungo termine, fino ad oggi assente. Ora la palla passa alla Camera, dove dovrebbe essere approvato senza grossi problemi, e poi mancherà solo la firma del presidente, prevista per inizio settimana prossima.

L’iter legislativo, tuttavia, non è stato affatto semplice. È durato la bellezza di tre anni, con varie tappe nel mezzo. La più importante è quella dello scorso anno quando, dopo che il Senato aveva dato il suo via libera, la proposta si era bloccata alla Camera a febbraio. La paura che il disegno di legge non venisse mai approvato era tanta. A quel punto, però, a scendere in campo fu il presidente Biden, esortando i legislatori a riflettere su una questione che era diventata di sicurezza nazionale. “Nessun governo di un Paese, anche di uno forte come il nostro, può permettersi di rimanere in disparte. Penso che sia un cambiamento epocale”, ha affermato al momento dell’approvazione un entusiasta Chuck Schumer, senatore democratico per lo Stato di New York tra i più fermi sostenitori della misura. 

Tramite questa, verranno garantiti 52,7 miliardi di dollari in assistenza finanziaria diretta, che saranno indirizzati alla costruzione e l’ampliamento degli impianti di produzione dei semiconduttori (39 miliardi), alla promozione della ricerca e la formazione del personale addetto (11 miliardi), ma anche per velocizzare il processo di realizzazione dei materiali (2 miliardi). A questi vanno aggiunti altri 24 miliardi di dollari in incentivi fiscali e un aumento della spesa federale (oltre 170 miliardi di dollari) per la ricerca scientifica nei prossimi cinque anni, con una particolare attenzione all’intelligenza artificiale. Tutti segnali che evidenziano come gli Stati Uniti non vogliano perdere ulteriore terreno a discapito dei suoi rivali – Cina in primis – e come si siano convinti che senza investimenti nel settore tecnologico nessuna nazione si può definire veramente leader. 

L’orgoglio e le rivalse politiche hanno quindi lasciato spazio al bene dell’America, che si stava andando a scontrare con una realtà insolita. Tanto per capirci: se Washington avesse perso l’accesso ai semiconduttori di Taiwan, avrebbe visto crollare il proprio Pil di circa dieci punti percentuali, mandando in crisi interi settori come quello automobilistico. General Motors, non a caso, ha dichiarato proprio due giorni fa di avere più di 90mila veicoli non finiti a causa della mancanza dei chip. A fare pressioni sono state anche Intel e GlobalWafers, annunciando un mese fa che i loro piani dipendevano dall’approvazione del pacchetto. Pertanto, serviva un piano che evitasse questa catastrofe e permettesse alle aziende a stelle e strisce di garantire l’autonomia per il Paese. 

“Poiché gli americani erano preoccupati per lo stato dell’economia e il costo della vita, il disegno di legge è una risposta: accelererà la produzione di semiconduttori in America, abbassando i prezzi di tutto, dalle auto alle lavastoviglie”, ha continuato nella sua nota il presidente Biden. Questo perché crescerà la produzione nazionale, con le varie Intel, Taiwan Semiconductor Manufacturing, GlobalFoundries, Micron Technology, Applied Materials e altre aziende del settore che potranno sfruttare i tanti soldi che sono in arrivo. A festeggiare sono quindi gli industriali, con le nuove fabbriche che dovrebbero essere costruite nel giro di due o tre anni, ma anche i lavoratori che aspettano la creazione di nuovi posti. 

Non tutti però esultano. Una voce critica è stata quella del senatore Bernie Sanders, che ha accusato l’amministratore delegato di Intel, Patrick Gelsinger, di aver manipolato i legislatori minacciando di andare a produrre all’estero. Il leader della sinistra americana è stato infatti l’unico democratico a votare contro, vedendo nel Chips Act non un’opportunità ma piuttosto “un assegno in bianco”, consegnato da Washington ai produttori di semiconduttori.

Soprattutto, a non ridere è la Cina. Dall’Ambasciata negli Stati Uniti fanno sapere come Pechino “si oppone fermamente” al disegno di legge che rifletterebbe la “mentalità della guerra fredda e del gioco a somma zero”, in aperto contrasto “all’aspirazione comune delle persone in tutti settori, in Cina e negli Stati Uniti, a rafforzare gli scambi e la cooperazione”. Il tutto accade quando Joe Biden e Xi Jinping sono pronti a sentirsi al telefono, con il presidente cinese che chiederà certamente conto di quanto ha appena approvato il Senato americano.

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