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Svolta cinese sui microchip. Che “neutralizza” le sanzioni

Semiconduttori Microchip

L’Occidente impedisce all’industria cinese il salto di qualità. Così Pechino ha cambiato tattica, perfezionando (o copiando?) il processo per produrre i microchip da 7 nanometri. Non saranno i più avanzati, ma sono tra i più richiesti: perfetti per l’autosufficienza tecnologica che vuole Xi Jinping

Se non possiamo costruire auto da corsa, perfezioneremo le nostre utilitarie. Avranno ragionato più o meno così, a Pechino, quando i dirigenti si sono accorti che le sanzioni occidentali avrebbero buttato l’industria nazionale dei semiconduttori fuori dalla corsa per la produzione dei chip più avanzati. A distanza di anni la strategia cinese sta dando i suoi frutti – e gettando dubbi sull’efficacia della strategia “di contenimento” occidentale.

L’ultimo segnale arriva da una società di intelligence industriale, Tech Insights, che sviscera i prodotti tecnologici in commercio per carpirne i segreti. Di recente le è capitata sottomano una macchina per il mining di bitcoin prodotta da MinerVA, società registrata in Canada ma presumibilmente controllata dalla Cina. E hanno scoperto che il processore (da 7 nanometri) era stato costruito da un’azienda che si credeva non fosse in grado di farlo.

Quel chip, relativamente avanzato, è stato costruito dal campione cinese Semiconductor Manufacturing International Corporation (Smic), un’azienda pesantemente sanzionata dai tempi dell’amministrazione Trump. Questo le ha impedito di procurarsi i macchinari per la litografia ultravioletta estrema (Euv) necessari per produrre agevolmente i chip più avanzati – cosa che solo la taiwanese Tsmc e la sudcoreana Samsung sono in grado di fare al momento.

Altra storia per le macchine fabbrica-chip della generazione precedente (Duv), largamente utilizzate in giro per il mondo per produrre i chip meno sofisticati. Dall’analisi di Tech Insight emerge che gli ingegneri cinesi sono stati in grado di perfezionare il processo di produzione, nonostante i limiti dei macchinari, e produrre un rudimentale chip da 7nm – una classe di semiconduttori utilizzati nelle auto, negli smartphone, negli elettrodomestici moderni.

L’utilizzo di macchinari Duv significa che la produzione costa di più e rende di meno rispetto ai competitor che utilizzano la tecnologia Euv. Ma le logiche di mercato interessano solo parzialmente alla Cina, la più grande importatrice di chip al mondo. In linea con il piano di Xi Jinping, l’industria punta all’indipendenza tecnologica dai Paesi occidentali e vuole raggiungere l’autosufficienza per la produzione di semiconduttori. Bloomberg ha scritto che in termini economici lo sforzo è paragonabile alla costruzione dell’arsenale atomico cinese.

Quel chip targato Smic non è sofisticato quanto i concorrenti e va bene solo per lavori di “forza bruta”, come il mining. Dunque il fatto di produrlo non annulla il vantaggio tecnologico occidentale, ma rappresenta un’importante pietra miliare per l’industria dei semiconduttori cinese. A forza di sovvenzioni massicce e ricerca, Pechino potrebbe arrivare a produrre i chip di cui il mercato cinese ha (e avrà) bisogno senza tema di vedersi tagliare le gambe dagli alleati occidentali.

Di più: vista l’altissima richiesta globale per i chip meno avanzati, e considerato il ritmo con cui Pechino sta costruendo fabbriche per i semiconduttori (31 in quattro anni, surclassando Taiwan, Corea del Sud e Stati Uniti), la Cina potrebbe presto diventare la maggior produttrice di quella classe di semiconduttori. Una posizione di forza sul mercato globale, che come il green tech potrebbe trasformarsi in dipendenza per gli altri Paesi.

Il chip nel macchinario MinerVA è in circolazione da almeno un anno. Inoltre gli esperti di Tech Insights hanno notato un’incredibile somiglianza con il prodotto equivalente della Tsmc, che ha già denunciato due volte la rivale cinese per aver copiato la tecnologia di produzione. Non stupirebbe, dato che Smic tenta di reclutare gli ingegneri Tsmc da anni – tanto da costringere le autorità taiwanesi a prendere contromisure.

La scoperta conferma le preoccupazioni degli Stati Uniti, che da mesi fanno pressioni sull’Olanda per impedire alla Cina anche l’acquisto di macchinari Duv. Il Paese nordeuropeo è patria di Asml, praticamente la monopolista mondiale dei macchinari per la litografia ultravioletta. Il premier olandese Mark Rutte non è disposto a riconsiderare la relazione commerciale con Pechino, a meno che non lo faccia anche il resto d’Europa, e il Ceo di Asml Peter Wennink si è opposto al bando asserendo che la litografia Duv è una tecnologia già matura.

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