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Conte ha perso, ma Draghi non vince. La crisi letta da Padellaro

Il fondatore del Fatto Quotidiano: “Il premier poteva derubricare il tutto a un incidente, ma ne ha fatto una questione di nervi: e resta garante del nostro debito. Senza di lui torniamo scoperti”

Giuseppe Conte ha perso tutto in questa mano, ma Mario Draghi non lo capisco. Così il fondatore del Fatto Quotidiano, Antonio Padellaro, affida a Formiche.net un’analisi sulla crisi innescata ieri e sugli sviluppi che potranno esserci da qui a mercoledì prossimo, quando il premier dimissionario riferirà alle Camere.

La terza Repubblica è l’esperimento di un movimento che si fa partito e finisce con le dimissioni di Mario Draghi di ieri?

Diciamo che nella politica italiana nulla si perde: tutto resta per aria, magari con una dimensione gassosa. Basta guardare i riti della Prima Repubblica che sono tornati di attualità come le verifiche. Siamo in una situazione di confusione totale, quindi non me la sento di dire che è finita un’epoca. In realtà continuiamo stancamente a fare gli stessi errori che sono stati fatti in quella che viene chiamata Prima e Seconda Repubblica.

Ovvero?

Fondamentalmente quello di non far capire assolutamente nulla di quello che succede nei palazzi alla gente comune. Questa crisi è insensata e inspiegabile: non ha un senso perché nasce anche da malumori di tipo personale. Quindi io non ne farei una questione di passi, di epoche, di quel che siamo. Sappiamo esattamente dove stavamo qualche anno fa, con i partiti che bisticciano e non si rendono conto che stiamo dentro un dramma sociale ed economico straordinario.

Cosa ci ha guadagnato e cosa ci ha perso Conte?

Ha solo perso tutto. Era una figura a cui veniva riconosciuto il senso delle istituzioni, ma poi si è dovuto inventare capo partito. E da quel momento le cose sono andate sempre peggio. Nel senso che lui rischia anche di disperdere quel patrimonio personale che aveva accumulato. Ripeto ci saranno anche delle ragioni che noi non conosciamo. Ma se poi non ti fai capire dai tuoi elettori e dal mondo che ti circonda, nulla ha più senso. Vogliamo parlare del termovalorizzatore di Roma?

Draghi e Conte agli antipodi?

In questa operazione entrambi hanno dato il peggio: il premier, nonostante i numeri, ne ha fatto una questione di principio o di carattere. Penso che sia molto trasparente. Draghi ha detto esattamente quello che pensa e lui ritiene che siano venute a mancare le condizioni che avevano dato luogo al governo di unità nazionale. Ora, visto che comunque il Movimento Cinque Stelle aveva fatto delle aperture, ne potremmo parlare prima di chiudere tutto? Perché non andare a vedere? Perché non dire va bene, è un incidente grave però adesso cerchiamo di capire se questa maggioranza può ancora camminare. Avrebbe potuto dire: “Non è un voto di sfiducia, però i Cinque Stelle mi devono far capire cosa vogliono fare, così come anche la Lega. Verifichiamo un colloquio in Parlamento e poi deciderò se andare avanti oppure no”. Ma quale il senso di questi cinque giorni adesso?

Maggioranza in pezzi?

È chiaro che non si possono più attaccare i cocci di questa maggioranza. Evidentemente Draghi non se la sentiva di andare avanti, ma lui aveva e ha una responsabilità gigantesca sulle spalle. Lo so, non gliel’ha ordinato il medico di fare il premier ma noi stiamo andando verso mesi difficili, per usare un eufemismo: mancano solo le sette piaghe d’Egitto dopo la pandemia, l’inflazione, la guerra, il Pnrr.

Perché mollare tutto questo da un momento all’altro?

Non si capisce, è una crisi insensata: non c’è un tempo, né una direzione ipotetica in cui far andare le decisioni che sono state prese, tranne che siamo a un livello di scatto di nervi. Ma la politica non è fatta di scatti: tutto a un certo livello è fatto di decisioni responsabili e ponderate.

Qualche motivazione possiamo ritrovarla nella settimana quirinalizia?

È evidente che per Draghi quella è stata una forte delusione. Però questa rivoluzione del Quirinale viene prima, nasce da lontano, avviene nel momento in cui lui accetta di fare il presidente del Consiglio. Perché era evidente che, andando a Palazzo Chigi e dovendo assumere un ruolo fondamentale per i destini di questo Paese, passare al Quirinale sarebbe stato complicato. Draghi non è un politicante che si mette lì a cercare i voti perché non è il suo mestiere. Pensava che lo avrebbero eletto per acclamazione, ma non è successo. Il Draghi che non va al Quirinale non nasce nei giorni della rielezione del Presidente della Repubblica, nasce prima. Lui capisce perfettamente che adesso, in qualche modo, è tra virgolette condannato a restare a Palazzo Chigi. Probabilmente sarà logorato o stanco. Sono tutte cose molto comprensibili, però ciò va rapportato all’interesse collettivo. In fondo gli si chiedeva di restare pochi mesi, per traghettare il Paese in zona scura. Non è che gli si chiedeva di stare quattro anni.

Vista la decisione di Conte a un anno dalla segreteria Enrico Letta, anche il campo largo dem va in fumo?

È un progetto comunque messo fortemente in discussione. Ma dipenderà dalle decisioni future di Pd e Cinque Stelle. In caso di elezioni come farà il Pd a mettere insieme un’alleanza in grado di competere? Certamente non con il 3% di Calenda, di Renzi o della sinistra Italiana: solo cespugli eretti l’un contro l’altro armati. Manca poco che si mettano le dita negli occhi. Chi può aspirare comunque ad un 10% resta il M5S, l’unica forza con la quale il Pd può fare un’alleanza. L’alternativa è dare i pieni poteri a Giorgia Meloni che ha fatto opposizione e sta accumulando percentuali molto importanti dei sondaggi.

Dopo l’esperienza Monti del 2011, avevamo provato anche in Europa a rialzare la testa e a ricercare un po’ di credibilità. Poi però è successo il Papeete, le piroette del M5S in politica estera e adesso questo pasticcio. Torniamo ad avere un problema di credibilità nei confronti di Bruxelles?

Se Draghi resta Draghi a Palazzo Chigi non avremo nessun problema di credibilità. Anzi, Draghi è proprio il punto di riferimento per molti in Europa. In caso contrario tutti i detentori del nostro debito pubblico si sentiranno minacciati da una situazione di instabilità. Allora altro che lo spread come quello di questi giorni. Insomma, noi siamo un Paese indebitato fino al collo. E Draghi è il garante di questo debito a livello internazionale. Questo è un dato di sostanza. Se un debitore ci telefonasse in cerca dei propri soldi gli risponderebbero Calenda o Meloni?

@FDepalo

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