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Gli strappi di Conte e i mal di pancia per il Pd. Parla Castellani

Il docente della Luiss: “Al Movimento converrebbe uscire dalla maggioranza di governo. Ma il problema si porrebbe dopo, con le alleanze del campo largo”

Tra scissioni, malumori, documenti incrociati al vetriolo e le continue minacce di staccare preventivamente la spina al governo, il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte non deve fare i conti solo con i dissidi interni. A serpeggiare, adesso, sono anche i malumori degli alleati del presunto campo largo. L’ex segretario dem, Nicola Zingaretti, ha infatti spiegato in un’intervista a La Stampa che Conte “non è più un riferimento progressista”. I malpancisti dicono che, a ben guardare non lo sia mai stato, ma queste affermazioni creano più di un problema nel Pd. Per cercare di sondare quali saranno le sorti dell’ala progressista della politica italiana, abbiamo chiesto un parere a Lorenzo Castellani, docente di storia delle Istituzioni politiche alla Luiss.

Il dem Francesco Boccia afferma che il Movimento è ancora un partner, Zingaretti silura Conte. Che sta accadendo in casa Pd?

Si sta consumando una frattura fra chi è ancora convinto che dei 5 Stelle non si possa fare a meno e chi invece ritiene che non siano più un partner fondamentale per la costruzione del campo largo. Va detto che, specie in questa fase, molti dubbi sono funzionali a un disegno ben preciso.

Quale sarebbe la strategia?

Quella di far abbassare i toni a Giuseppe Conte e di far rimanere il Movimento 5 Stelle ancorato alla maggioranza di governo. Anche le recenti dichiarazioni del segretario dem, Enrico Letta, si muovono in questa direzione.

Se Conte dovesse staccare la spina al Governo che tipo di scenario si potrebbe profilare?

Probabilmente l’esecutivo andrebbe avanti fino al termine della legislatura, ma sicuramente con nervi scoperti evidenti. Anche perché, un’eventuale fuoriuscita dalla maggioranza del Movimento potrebbe solleticare gli istinti secessionisti di Salvini che potrebbe seguire l’esempio contiano. Anche se, a ben guardare, la Lega è in una posizione diversa da quella del Movimento.

Per i rapporti interni alla coalizione?

In ottica di un rapporto sempre più stretto con Forza Italia, la Lega si troverebbe in seria difficoltà se uscisse dal governo. Tanto più che i ministri Giorgetti e Garavaglia sono saldamente ancorati alla linea dell’Esecutivo e dell’agenda Draghi.

Si potrebbe dire lo stesso per il Movimento 5 Stelle. 

Infatti probabilmente il Movimento non è ancora uscito dall’Esecutivo anche perché Conte è consapevole che un’eventuale fuoriuscita minerebbe profondamente i rapporti con il partner democratico.

Al Movimento 5 Stelle, dunque, non conviene uscire dal governo?

A logica direi che invece a loro converrebbe: le sconfitte per il Movimento, anche in termini di temi politici (non ultimo il Superbonus), sono evidenti. In questo discorso però, si innestano le logiche legate alle alleanze.

Con l’attuale legge elettorale il Pd gioca un ruolo di perno, ma non di forza.

Esattamente. Ed è per questo che Letta sta facendo di tutto per ricucire e cercare altri player da includere nel campo largo. Il centrosinistra è cosciente del fatto che, nei collegi uninominali, senza alleanza c’è il rischio concreto di essere travolti dal centrodestra.

Che peso avrà l’operazione Di Maio?

Per ora mi pare più una manovra parlamentare, malgrado il ministro stia cercando di ritagliarsi un suo spazio al centro. Verosimilmente, diventerà un altro interlocutore del Pd, cercando di evitare cortocircuiti con l’altro partner pentastellato.

Silvio Berlusconi, registrando diversi movimenti al centro, ha rilanciato spiegando che l’unico centro è rappresentato da Forza Italia. Che ne pensa?

Berlusconi ha inventato il centro della destra. Il suo messaggio ha l’obiettivo da un lato di maciullare tutti i soggetti che si stanno muovendo nel grande centro attualmente, a partire dai fuoriusciti dalla coalizione, ma anche quello di porsi come reale interlocutore di quella fetta di elettorato moderato.

 

 

 

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