Armi, addestramento, tranche finanziarie e missioni internazionali. Quanto impatta la crisi del governo Draghi sul sostegno italiano alla resistenza ucraina? Non poco. Viaggio nel limbo tra dossier arenati e promesse da mantenere
Quale conto presenterà all’Ucraina la crisi politica italiana? Con le dimissioni del presidente del Consiglio Mario Draghi– ufficializzate oggi al Quirinale dopo che una parte consistente della (ex) maggioranza di governo, Lega, Cinque Stelle e Forza Italia, non ha votato la fiducia in Senato – si apre un rebus anche per la resistenza di Kiev contro l’aggressione russa. Sono infatti diversi i dossier sul sostegno militare ed economico italiano a Volodymyr Zelensky che rischiano di arenarsi, o rallentare, con una campagna elettorale di metà estate.
Da Kiev la speranza è che, qualunque sia il risultato delle prossime elezioni politiche, la sponda italiana non venga meno. Lo ha detto senza mezzi termini lo stesso Zelensky salutando Draghi giovedì mattina. “Sono sinceramente grato a Mario Draghi per il sostegno incrollabile all’Ucraina nella lotta contro l’aggressione russa e nella difesa dei valori europei comuni: democrazia e libertà – ha scritto su twitter, dicendosi “convinto che il supporto attivo del popolo italiano per l’Ucraina continuerà”. Una convinzione ribadita da Draghi al suo omologo ucraino alla vigilia della crisi a Palazzo Madama, con una telefonata che ha voluto rassicurare il partner sotto assedio. Ma c’è anche chi è meno ottimista. “La tradizionale lotta politica interna nei Paesi occidentali non dovrebbe impattare l’unità sui temi fondamentali di una lotta tra bene e male, specialmente l’invio di armi all’Ucraina”, ha twittato sabato scorso il consigliere di Zelensky Mikhailo Podolyak commentando la maretta politica italiana.
A ben vedere il rischio di un rallentamento nel sostegno alla resistenza non è fantascienza. Proprio questo giovedì, ad esempio, al Copasir, il comitato parlamentare di controllo dell’intelligence guidato dal senatore di Fratelli d’Italia Adolfo Urso, doveva atterrare il quarto decreto interministeriale sull’invio di armi a Kiev. A presentarlo, secondo l’agenda, doveva essere il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Ma il can-can a Palazzo Madama e i venti di crisi hanno spinto Urso a “sconvocare” la seduta con il titolare di Palazzo Baracchini.
Il decreto in questione è atteso da settimane. La lista delle armi è segretata – decisione presa dal governo italiano per non informare i russi dell’entità delle forniture ma non seguita da altri Paesi europei – così come lo sono le sedute del Copasir in cui Guerini è stato già convocato per illustrare i provvedimenti precedenti. Secondo indiscrezioni però il nuovo decreto potrebbe costituire un salto di qualità nel sostegno italiano. Tra le armi inviate, infatti, sarebbero compresi anche mezzi militari pesanti.
Fonti a conoscenza del dossier parlano di mezzi blindati e cingolati M130 utilizzati per il trasporto delle truppe. Non è chiaro invece se saranno compresi i panzer tedeschi Pzh 2000 in dotazione all’esercito italiano, tra i mezzi più richiesti dallo Stato maggiore ucraino per resistere alla guerra d’attrito russa nel Donbas. A ventilare l’ipotesi a fine giugno era stato il premier olandese Mark Rutte in un’intervista a Politico.eu. Il 30 giugno, aveva riportato Il Mattino, cinque semoventi dello stesso tipo diretti a Nord erano stati fermati per un controllo dalla polizia stradale di Napoli sull’autostrada Salerno-Caserta.
La crisi di governo e lo scioglimento anticipato delle Camere, almeno sulla carta, non dovrebbero intaccare la tabella di marcia. Il “dl Ucraina” approvato in via definitiva al Senato a inizio marzo, infatti, prevede (art. 2-bis) l’autorizzazione del governo, “previo atto di indirizzo delle Camere”, a cedere “mezzi, materiali ed equipaggiamenti alle autorità governative ucraine” fino al 31 dicembre 2022. Il governo Draghi dunque, rimasto in carica “per il disbrigo degli affari correnti”, ha chiarito questo giovedì il Quirinale, potrà continuare a inviare sostegno militare all’Ucraina. Un mese fa, il 21 giugno, proprio sull’ “atto di indirizzo” richiesto per autorizzare l’invio di armi si era quasi consumata una frattura nel governo, con i Cinque Stelle in dubbio fino all’ultimo sull’approvazione di una risoluzione che impegnava l’esecutivo a sostenere anche militarmente il governo di Zelensky.
Ma l’invio di armi ed equipaggiamento non è l’unico fronte che vede l’Italia impegnata a fianco dell’Ucraina e ora rischia di subire l’impatto della crisi. Dietro le quinte, dopo il via libera della Farnesina, prosegue infatti l’addestramento di ufficiali ucraini da parte dell’esercito italiano. Un’attività propedeutica a insegnare a usare armi occidentali avanzate che vede gli addestratori italiani in campo in Francia e Polonia, ha scritto Il Foglio.
All’invio di aiuti militari si somma il supporto sul fronte economico e finanziario. Finora l’Italia non è mancata all’appello. L’ultimo rapporto del Kiel Institute for the World economy, think tank che aggiorna di continuo gli aiuti finanziari e militari occidentali diretti a Kiev, fa i conti in tasca anche a Palazzo Chigi. Dall’inizio della guerra, tra risorse per i profughi, munizioni, armi, aiuti economici, Roma ha stanziato circa 774 milioni di euro, conquistando l’ottavo posto tra i principali donatori. Tra le possibili vittime dello stallo parlamentare dovuto alla crisi, infine, si può includere il “decreto Missioni”, il provvedimento annuale che autorizza la spesa per le missioni militari e di peace-keeping dell’Italia nel mondo per l’anno venturo e che ha da poco iniziato il suo iter a Montecitorio.