La propaganda di Mosca travisa le parole dell’economista Sachs. Si muove anche la diplomazia di Pechino. È l’ennesimo caso in cui le due narrative si sovrappongono con un unico obiettivo: indebolire l’Occidente
Si torna a parlare di Covid-19 e dell’ipotesi secondo cui il virus sarebbe nato in un laboratorio statunitense. Tutto nasce dalle parole di Jeffrey Sachs, economista e presidente della commissione Covid-19 di Lancet.
Ecco ciò che ha dichiarato durante un evento del centro studi spagnolo Gate Center. “A mio avviso, si tratta di un errore della biotecnologia, non di un incidente di percorso naturale”, ha detto rilanciando quanto scritto nelle scorse settimane con Neil Harrison della Columbia University. Poi ha precisato che “non lo sappiamo con certezza, sia ben chiaro”, perché, ha spiegato alimentando il complottismo, “per chiare ragioni” non vogliono indagare a fondo. La frase fondamentale è questa: “Sono abbastanza convinto che sia nato dalla biotecnologia dei laboratori statunitensi, non dalla natura”. In inglese: “Out of US lab biotechnology”. Non ha detto: “A US lab of biotechnology”. Con le sue parole Sachs non ha di fatto escluso l’ipotesi che il Covid-19 provenisse dalla biotecnologia dei laboratori statunitensi che veniva studiata in un laboratorio cinese da dove è fuoriuscito.
Ma le dichiarazioni sono state immediatamente rilanciate da RT, strumento della propaganda del Cremlino, che ha titolato “Il Covid-19 potrebbe aver avuto origine in laboratorio statunitense” (“Covid-19 may have originated in US biolab”). Sono finite, con la stessa operazione di disinformazione, poi su diversi media tra cui l’agenzia di stampa iraniana Tasnim, considerata molto vicina ai Pasdaran, e L’Antidiplomatico, sito italiano che non nasconde le proprie posizioni antioccidentali e pro Russia e Cina.
Le hanno rilanciate anche diversi diplomatici cinesi. A partire da Hua Chunying, portavoce del ministero degli Esteri di Pechino. È la stessa che il 15 marzo 2020, all’inizio della pandemia, via Twitter aveva alimentato la fake news degli italiani che dai balconi avrebbero cantato “Grazie, Cina”. Un’operazione, che, come rivelato da Formiche.net, poteva contare su un esercito di bot sui social per rilanciare i contenuti pro Pechino e che, come spiegava Pagella Politica, si inseriva “in quella che sembra essere una più larga operazione da parte di Pechino per minimizzare le possibili responsabilità del governo cinese nella diffusione iniziale del Covid-19 e per veicolare il messaggio che la Cina venga apprezzata all’estero per come ha gestito, e sta gestendo, l’emergenza coronavirus”.
In quei giorni la testata statunitense Axios parlava di “una pagina” presa in prestito dalla Cina “dal manuale della disinformazione russa”. Laura Rosenberger, allora a capo dell’Alliance for Securing Democracy e senior fellow del German Marshall Fund, oggi senior director Cina al Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, spiegava che ci sono tre tattiche “che Pechino ha applicato nella sua campagna propagandistica sul coronavirus che ricordano chiaramente la strategia russa”: la diffusione di “teorie del conflitto multiplo”; l’amplificazione di “siti web complottistici” che, secondo l’esperta, non offrono alcuna trasparenza sui finanziamenti ma promuovono quelle teorie “che lo Stato intende sostenere” e l’uso coordinato di account Twitter di diplomatici e ambasciate, assieme ai media del regime, per dare più spinta alle teorie complottistiche.
Analisi che torna di grande attualità dopo la recente operazione sull’origine del Covid-19, utilizzare con la Russia interessata ad alimentare caos tramite la disinformazione anche alla luce dell’unità occidentale a fianco dell’Ucraina e la Cina decisa ad approfittare di qualsiasi occasione per scaricare le responsabilità della pandemia su altri, meglio ancora se sono gli Stati Uniti.