Non si può fare una crisi di governo adesso e tantomeno capitombolare nelle elezioni anticipate. Perché le sfide da affrontare sono tremende e anche alla sciaguratezza c’è un limite. Ma neppure si può andare avanti così. E allora che si fa? Nessuno lo sa, pur se il serbatoio di fantasia politica italiana e di arzigogolatura è inesauribile
Forse il M5S di Giuseppe Conte lascerà il governo. O forse no. Forse Mario Draghi resterà in sella. O forse no. Forse il Pd accetterà un Draghi-bis o un’altra soluzione a Palazzo Chigi. O forse no. Forse in qualche modo scavalleremo l’estate e poi a settembre la crisi la farà Matteo Salvini. O forse no.
Nell’epoca della fluidità politica l’incertezza regna sovrana. Recuperando il lessico della Prima Repubblica che ora sembra tornato di moda tra appoggi esterni, richieste di discontinuità e quant’altro, si potrebbe dire che si naviga a vista. Se solo tanta nebbia non fosse esiziale in una fase in cui bisogna attrezzarsi per una lunga durata dello scontro amato tra Russia e Ucraina; è decisivo spegnere i focolai di inflazione che è la più odiosa delle tasse perché colpisce i meno abbienti; è urgente finire di mettere a terra il Pnrr perché i fondi che Bruxelles ci ha assegnato sono un’occasione storica, anzi unica, da non perdere. Diciamo allora che il timoniere conosce la rotta, ma il suo equipaggio preferisce guardarsi l’ombelico invece che compulsare la bussola.
Ma il paradosso da queste parti fa sempre capolino. E perciò nell’epoca della fluidità e delle incertezze sovviene che due impossibilità si impongono e vanno a braccetto. Non sono certezze, ovviamente, ma gli assomigliano assai. La prima impossibilità è che non si può fare una crisi di governo adesso e tantomeno capitombolare nelle elezioni anticipate. Perché le sfide da affrontare sono tremende e anche alla sciaguratezza c’è un limite.
Precipitare nel caos della campagna elettorale indebolendo fino a farlo evaporare il quadro di comando di Palazzo Chigi, bloccando il Parlamento per mesi in attesa dell’insediamento di un nuovo governo, nel mentre è necessario predisporre la legge di bilancio che a quel punto non potrebbe che essere scritta sotto il ricatto dell’esercizio obbligatorio, rappresenta un harakiri (a proposito: che tragedia l’omicidio di Abe) che il Paese non potrebbe sopportare. C’è sempre qualcuno che per interessi personali gioca al tanto peggio tanto meglio: ma l’irresponsabilità è un veleno che solo gli sfascisti si divertono a maneggiare.
La seconda impossibilità è che così non si può andare avanti. Il gioco al rialzo dentro la maggioranza di larghe ma non più intese, innescato dall’opportunismo, dalla spasmodica valutazione dei sondaggi e dagli appetiti elettorali che sembrano prevalere su tutto e tutti, logora il tesoretto di credibilità che l’Italia, grazie a SuperMario, ha riconquistato. Non è l’ingenuità che fa stupire il presidente del Consiglio riguardo al fatto che i tanti riconoscimenti e apprezzamenti che piovono sul Paese a livello internazionale vengano poi sbriciolati dalle risse nel cortile interno: piuttosto l’amarezza. Ed è un dato disarmante, ma con cui bisogna fare i conti. Draghi cercherà di contrastare gli impulsi distruttivi che gli arrivano da più parti. Ma non può farlo oltre un certo limite. L’appoggio e la moral suasion del Quirinale è fondamentale: ma poi la decisione finale e l’assunzione di responsabilità è appannaggio dei partiti.
Non si può fare la crisi ma neppure si può andare avanti così. E allora che si fa? Nessuno lo sa, pur se il serbatoio di fantasia politica italiana e di arzigogolatura è inesauribile. Se Conte lascia, la cifra politica del governo muterebbe a sfavore del Pd, che si ritroverebbe a dover sopportare il peso dell’impopolarità di talune scelte mentre il M5S lucrerebbe il vantaggio dell’opposizione. Un carico toppo oneroso, con la materializzazione dell’incubo del bis del governo Monti e l’altissimo prezzo elettorale pagato. Se Giuseppi viene risucchiato nell’orbita di Alessandro Di Battista, Salvini si ritrova nella stessa situazione di Letta solo rovesciata: gravosità del peso del governo contro le mani libere di Giorgia Meloni.
Ma andare al voto anticipato risolverebbe qualcosa? Presumibilmente no. Anzi sì. Non farebbe alto che aggiungere un’altra impossibilità: mantenere a Palazzo Chigi l’ex presidente della Bce.