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Governo Johnson, uno scontro politico sul terreno dell’economia

Il governo ha affrontato la crisi economica post pandemia con delle politiche espansive finalizzate a sostenere l’occupazione e ad affrontare le emergenze sociali. La situazione odierna però, determinata anche da quella internazionale, con un’inflazione all’8%, livello quasi inimmaginabile per il Regno Unito negli scorsi anni, un crescente indebitamento e il disavanzo commerciale, ha portato molti a dichiarare che l’inflazione ha reso il Paese più povero e che questo andrebbe spiegato ai cittadini e affrontato

Mai come in questo momento la leadership di Boris Johnson, alla guida del Partito Conservatore e del governo, è stata così in difficoltà.

Le dimissioni del Cancelliere Rishi Sunak e dell’Health Secretary Sajid Javid rappresentano una spallata quasi decisiva alla volontà del premier di restare in sella, e hanno dato il via a una serie di ulteriori dimissioni dal governo.

Casus belli è stata la vicenda del deputato Chris Pincher, promosso Deputy Chief Whip nonostante il premier sarebbe stato già da tempo a conoscenza di alcune accuse di molestia mosse allo stesso Pincher.

Ma sarebbe il caso di andare ancora più in profondità per analizzare le cause di questa crisi tra i Tories.

Bisogna individuare due livelli di attenzione.

Il primo attiene all’immagine del governo e del partito. Il Regno Unito si trova a dover affrontare diverse questioni estremamente delicate. La pandemia da Coronavirus, e i suoi effetti, non ancora del tutto superati. Così come la crisi internazionale causata dalla guerra in Ucraina, con tutte le sue critiche implicazioni economiche. Ma ci sono anche, e queste sono tematiche tutte interne, le diverse questioni aperte dal post Brexit. Dapprima con le tensioni in Scozia e la richiesta di indire un nuovo referendum sull’indipendenza. Per poi passare alla situazione irlandese, le cui tensioni sono cresciute dopo le recenti elezioni in Irlanda del Nord, a seguito dell’affermazione del Sinn Fein, e hanno portato il governo a mettere in discussione, unilateralmente, il Protocollo irlandese pensato con l’Ue per fare in modo che nel post Brexit non venissero meno gli accordi del Good Friday.

Questo ha causato una escalation di tensioni diplomatiche con Bruxelles, generando critiche interne tra gli stessi Tories, con l’ex premier Theresa May tra i primi a censurare questa posizione del governo Johnson.

In un contesto così complesso, la cui gestione necessita di grande sintonia tra Governo e cittadini, i “ribelli” Tories ritengono che l’attuale guida del Partito e del Governo, a causa del party-gate e dell’affaire Pincher, rappresenti un rischio in vista delle future elezioni, con il Labour già alla finestra pronto per una nuova campagna elettorale.

C’è poi una seconda questione, sostanziale, che attiene alle strategie di politica economica.

Il Governo Johnson ha affrontato la crisi economica post pandemia, come molti altri Stati hanno fatto, con delle politiche espansive finalizzate a sostenere l’occupazione e ad affrontare le emergenze sociali.

La situazione odierna però, determinata anche dalla situazione internazionale, con un’inflazione all’8%, livello quasi inimmaginabile per il Regno Unito negli scorsi anni, un crescente indebitamento e il disavanzo commerciale, ha portato molti, tra cui l’ex Governatore di Bank of England, Mervyn King, a dichiarare che l’inflazione ha reso il Paese più povero e che questo andrebbe spiegato ai cittadini e affrontato, ponendosi così sulla stessa lunghezza d’onda dell’attuale Governatore, Andrew Bailey, secondo cui nei prossimi mesi l’inflazione sarà destinata a salire causando criticità non tanto al settore finanziario, che secondo Bank of England ha una sufficiente resilienza, quanto a famiglie e imprese.

In questo quadro si confrontano e scontrano due diverse visioni: mentre il presidente Johnson vorrebbe continuare ancora con politiche espansive, l’ormai ex Cancelliere Rishi Sunak, che anche è stato finora l’artefice di queste politiche, ritiene che da adesso bisognerebbe puntare ulteriormente sull’incremento della produttività ma con politiche di maggiore rigore per ridurre l’inflazione e la spesa.

È quindi evidente come in questo momento i contrasti interni ai Tories siano anche la rappresentazione di diverse visioni e diverse modalità di approccio al governo.

E in un momento così delicato a livello internazionale non è secondario quello che accade alla guida di un player importante come il Regno Unito.

Difficile dire cosa potrà accadere. Tutte le soluzioni sono aperte: Boris Johnson potrebbe mantenere la maggioranza e andare aventi, potrebbe cedere alle pressioni e dimettersi, o ancora il Comitato 1922 potrebbe cambiare il proprio regolamento e permettere un nuovo voto di fiducia prima che trascorra un anno dall’ultimo tenutosi il 6 giugno.

 

 


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