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La maionese impazzita della politica italiana. Il racconto di Tivelli

È evidente che Mario Draghi abbia dovuto affinare le sue capacità di analisi e di mediazione politica, ma in queste condizioni non so fino a quanto queste potranno sostenerlo, in assenza di una resipiscenza di qualche leader di partito a cominciare da Giuseppe Conte. Il commento di Luigi Tivelli

Il sistema politico italiano mi sembra una maionese impazzita, come quella che non riescono a produrre certe signore volenterose ma che non sanno dosare uova, limone, eccetera.

Mario Draghi e il governo sono sub judice, in un quadro in cui il giudice, che tiene da vari giorni in sospeso la sua sentenza, è Giuseppe Conte con quello che sono i residuati dei Cinquestelle, che non è più il partito di maggioranza relativa ma la cui indispensabilità per la prosecuzione del governo è stata sancita dallo stesso Draghi.

Guarda caso, due dei punti fondamentali tra i nove ai quali sarebbe condizionata la conferma dell’adesione al governo sono il bonus del 110% e il Reddito di cittadinanza. Secondo il Corriere della Sera di domenica 10 luglio, sulla base di una ricognizione svolta da organi indipendenti, sono ben 6 miliardi quelli sin qui sottratti allo Stato per truffe di vario tipo, tra cui quelle ad opera di reclusi e titolari del Reddito di cittadinanza sul bonus del 110%.

Un bonus la cui operatività Conte e i Cinquestelle vorrebbero allargare e che è costato sin qui oltre 38, 7 miliardi alle casse dello Stato e che ha un vizio di fondo: manca quel contrasto di interessi che deve essere fisiologico tra appaltante e appaltatore, e gli appalti e le attività conseguenti avvengono sulle “mammelle dello Stato”.

La formula la coniò Ernesto Rossi ma non pretendo certo che né Conte né i Cinquestelle lo abbiano mai letto. Sempre a valere sulle mammelle dello Stato opera il reddito di cittadinanza che Conte e i Cinquestelle pongono come condizione imprescindibile e intoccabile per proseguire nell’adesione al governo.

Si tratta di una misura che costa fra i 7 e gli 8 miliardi l’anno, sulla quale si sono scoperte centinaia di truffe, spesso per molti milioni di euro, che finisce per distorcere il funzionamento del mercato del lavoro e, quando va bene, o per alimentare il lavoro nero o per generare il “divano di cittadinanza”.

Né mi sembra che quella “sconfitta della povertà” che secondo l’allora leader politico Di Maio avrebbe generato il Rdc ci sia stata in alcun modo, visto che gli ultimi dati Istat evidenziano un forte incremento negli ultimi anni delle persone in povertà. Conte e i Cinquestelle, inconsapevolmente affezionatissimi alle “mammelle” dello Stato, chiedono poi altri flussi di spesa pubblica, magari con chiari e forti scostamenti di bilancio, in una fase in cui il debito pubblico e i suoi interessi stanno crescendo di almeno due o tre miliardi l’anno e prima o poi dovremo fare i conti con i vincoli che l’Unione Europea dovrà pur riadottare.

Ma la maionese impazzita non riguarda solo Conte e i Cinquestelle perché sull’altro fronte, visto che sembra che Enrico Letta e il Pd vogliano dare assoluta priorità allo Ius scholae e a forme di liberalizzazione dell’uso della cannabis, Salvini e la Lega sono in fermento e pronti a fare di tutto per stoppare queste iniziative. C’è poi più sottotraccia una certa agitazione di vari partiti sulla legge elettorale, mentre continuano manovre e manovrette per l’eventuale costituzione di un centro, in un quadro in cui al centro operano troppi capi e capetti, troppe piccole forze politiche, varie delle quali incompatibili l’una con l’altra, e il cantiere del centro assomiglia a quei confusi e inutilmente stracolmi cantieri edilizi in cui non si capisce chi siano i geometri, chi siano i muratori, chi i manovali mentre l’architetto, il progettista e il direttore dei lavori o non si trovano o sono latitanti. In questa sorta di maionese impazzita, si dovrebbe giungere a breve all’impostazione di una seria e rigorosa legge di bilancio.

Sembra che punti al cantiere del centro anche il “pentito” (a capo di una pattuglia di 61 pentiti) Luigi Di Maio, che crede di poter sostituire come riferimento a Beppe Grillo un altro Beppe, Beppe Sala.

A questo punto, un redivivo generale De Gaulle direbbe “vaste programme”, visto come operano buona parte di capi, capetti, leader e semi leader di varie formazioni politiche. Certo, è evidente che Mario Draghi abbia dovuto affinare le sue capacità di analisi e di mediazione politica, ma in queste condizioni non so fino a quanto queste potranno sostenerlo, in assenza di una resipiscenza dei capi e capetti di qualche partito a cominciare da Giuseppe Conte.

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