Intervista al presidente di Eurasia Group: senza Draghi finisce una stagione, al potere torna il populismo di destra e la politica estera italiana ne risentirà. Ma non tutto è perduto, dalle riforme al vincolo euroatlantico. Ora occhi aperti sulle interferenze russe
Draghi va, Draghi resta. Con le dimissioni del premier ed ex banchiere centrale a seguito della crisi di governo innescata da Cinque Stelle, Lega e Forza Italia, non tutta una stagione politica finirà al macero. È ottimista Ian Bremmer, politologo della New York University e presidente di Eurasia Group. Nel caos italiano in vista del voto ci sono i sintomi di una malattia che indebolirà l’Italia all’estero. Ma anche gli anticorpi.
Un anno e mezzo. Tanto è durata l’Italia targata Mario Draghi prima di finire picconata dai partiti. È stata un’illusione?
È stata reale finché è durata. Il prestigio internazionale di Draghi ha portato grande beneficio allo standing internazionale del Paese in un momento difficile per il mondo. Il premier ha allineato i partiti sul piano interno, ha colto una rara opportunità per portare avanti le riforme e migliorare la posizione dell’Italia in Ue e nello scacchiere internazionale. Ma tutte le cose belle finiscono, specialmente nella politica italiana.
Che lettura dà della crisi?
È solo un’altra manifestazione della cronica instabilità politica di questo Paese, dovuta in parte a fattori istituzionali, in parte a una cultura politica tipicamente italiana. Un’instabilità che ha ostacolato le riforme economiche, ha impedito all’Italia di avere una politica estera credibile ed efficace, di essere percepita dagli alleati come partner affidabile.
Come giudica la politica estera di Draghi in questo anno e mezzo a Palazzo Chigi?
Il più grande successo di Draghi è stato condurre in porto le riforme economiche e tenere sui giusti binari il Pnrr, permettendo all’Italia di beneficiare di una quota consistente di finanziamenti europei. Così facendo ha posto le basi per una forte ripresa economica dopo lo shock della pandemia.
Un retaggio del banchiere centrale europeo?
Sì, ma non solo. Ha tenuto la barra dritta sulla politica fiscale, resistendo alla pressione politica per un’espansione della spesa che avrebbe alienato i partner europei ed esporto l’Italia all’instabilità finanziaria proprio mentre la Bce entra in un ciclo restrittivo. Questi successi sono ora a rischio, visto che, con tutta probabilità, le elezioni produrranno un governo di estrema destra ed euroscettico.
Cosa resta della partita energetica?
Un successo notevole e troppo poco citato. L’Italia è riuscita a diversificare le importazioni di gas con grande velocità, riducendo significativamente la sua forte dipendenza dall’energia russa. A questa si è aggiunto il sostegno incondizionato di Draghi all’Ucraina, allineato all’Ue e alla Nato, e confluito nell’invio di forniture militari. Tutto questo nonostante la crescente opposizione interna, in un contesto in cui l’opinione pubblica italiana è più ambivalente sull’Ucraina rispetto al resto d’Europa.
Quanto impatta l’uscita di Draghi sul sostegno occidentale all’Ucraina?
Non mi aspetterei una sterzata. Fratelli d’Italia, che probabilmente guiderà il prossimo governo, si posiziona sull’estrema destra nello spettro politico. Ma si è anche dimostrato un partito coerentemente pro-Nato e anti-russo, sostenendo la linea Ue sulle sanzioni e supportando Kiev.
E il resto del centrodestra?
Lo stesso vale per Forza Italia. Che ha fatto della questione ucraina, più che un problema morale, un tema di realpolitik e interesse nazionale. Ovviamente nella coalizione ci saranno nuove tensioni ma dubito che la Lega – la più ambivalente nei rapporti con la Russia e la più in linea con il sentimento popolare – forzi la mano. Dietro le quinte però l’Italia sarà un po’ più disposta a negoziare una soluzione e a facilitare una de-escalation, per quanto in suo potere.
Putin festeggia?
Non ne sarei certo. Ovvio, la crisi gli è utile. Quello italiano è il secondo governo occidentale dichiaratamente a favore dell’Ucraina a cadere, quello di Macron è azzoppato. Ma il crollo di Draghi nel breve periodo non porterà a un cambiamento nel sostegno europeo all’Ucraina.
Conte, Salvini, Berlusconi. Chi ha picconato Draghi è in buoni rapporti con il Cremlino e ha avuto qualche dubbio sulla guerra. Coincidenza?
In assenza di prove contrarie, penso di sì. La caduta di Draghi c’entra molto con le manovre di potere interne in vista delle elezioni e c’entra poco con la politica, inclusa quella estera.
Quindi il fattore ucraino non è stato determinante?
Sì, la guerra in Ucraina ha creato le condizioni per spianare la strada alla crisi e al collasso del governo di unità nazionale. Si è anche detto che la crisi è stata innescata dai disaccordi sul decreto per i sussidi energetici. Perfino che gli aiuti militari destinati all’Ucraina abbiano avuto un ruolo. Ma non sono queste le cause profonde.
Il 25 settembre si vota. Il rischio di interferenze russe è concreto?
La Russia sta già interferendo pesantemente attraverso la diplomazia, accusando le sanzioni occidentali dell’impennata dei prezzi dell’energia e del cibo e per l’inflazione. In Italia il terreno è più fertile che altrove in Ue, dove l’opinione pubblica (per ragioni storiche e alla luce dei legami economici) è stata più altalenante. Questo Paese dopotutto non ha memoria di cosa sia un’invasione russa e il sentimento anti-Nato scorre sotterraneo sotto le estreme dell’arco politico.