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Energia e sicurezza, il viaggio di Biden a Riad secondo Al-Assaf

L’accademico saudita dell’università di Riad spiega a Formiche.net l’eccezionalità della visita del presidente americano nella regione e, in particolare, in Arabia Saudita

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si prepara ad effettuare una visita in Medio Oriente, prima in Israele e nei territori palestinesi e poi, alla fine della settimana, in Arabia Saudita. Si tratta di una visita importante in un momento di crisi energetica dovuta alla guerra in corso in Ucraina. Per questo, in vista dell’imminente viaggio, il presidente Usa è intervenuto sul Washington Post per spiegare che Riad può aiutare a raggiungere alcuni obiettivi come contrastare la Russia e superare la Cina.

Si tratta però di una visita importante anche per i sauditi. A spiegarlo in un colloquio con Formiche.net è Abdullah bin Abdulmohsen Al-Assaf, docente di Comunicazione politica nell’università Muhammad Ibn Saud di Riad. “Per noi è una visita eccezionale diversa da tutte le precedenti visite dei presidenti degli Stati Uniti nel Regno – ha spiegato l’accademico saudita – diversa nei tempi, in quanto non si tratta di una visita di protocollo, e per le sue circostanze internazionali, molte delle cui ripercussioni sono ancora sconosciute. Sarà diversa anche nei suoi contenuti, il cui tema principale sarà quello della sicurezza e dell’energia”.

Secondo Al-Assaf, che è noto nel Regno per i suoi editoriali sul giornale della Mecca, “il nuovo ordine mondiale sta per emergere. Il mondo sarà comandato da due o tre teste, e questo è ciò che Washington cerca di contenere. Gli americani vogliono ritardare l’emergere dell’altra parte”.

Rispetto a questa prospettiva gli stati del Golfo “hanno una visione differente. Politiche estere diverse da quelle vissute da Biden durante gli ultimi cinque decenni trascorsi nei corridoi della politica americana. Una politica estera saudita più dinamica, con giovani leader del Golfo che hanno una visione moderna nell’affrontare circostanze mutevoli in modo da adattarsi ai cambiamenti geopolitici internazionali”.

Secondo la visione dei sauditi questa settimana Biden “incontrerà dei leader del Golfo diversi da quelli incontrati dai suoi predecessori, quindi è imperativo che il presidente Usa venga nella regione dopo aver capito di dover trattare con i suoi alleati o amici arabi in modo diverso da quello fatto dai democratici finora. Ci aspettiamo un trattamento diverso dell’America e dalle sue istituzioni. Oggi il soft power ottiene ciò che l’hard power non riesce a raggiungere e la sua superiorità è che l’altra parte fa ciò che fa con il suo consenso e convinzione”. Per Riad quindi gli Stati Uniti “devono trasformarsi in un Paese pioniere e non egemone la cui influenza ed egemonia cominciano a diminuire”.

Questa volta Biden incontrerà a Gedda il principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman, i leader dei Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, e quelli di Egitto, Iraq e Giordania. “La differenza rispetto al passato sta nel fatto che il presidente americano dovrà anche confrontarsi con una posizione araba unificata che Washington non conosceva prima. I leader arabi sono d’accordo sulle sfide e sui modi per affrontarle. In breve, gli arabi più che mai ora sanno cosa vogliono da Washington e gli presenteranno il conto”.

A Riad si aspettano che gli Stati Uniti “sperino di raggiungere diversi obiettivi: in primo luogo, persuadere i produttori di petrolio del Golfo a continuare ad aumentare la loro produzione per abbassare i prezzi. In secondo luogo, il rafforzamento delle relazioni con i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, in particolare con il Regno dell’Arabia Saudita. In terzo luogo, di placare i timori sia dei Paesi arabi che di Israele in caso di ripristino dell’accordo nucleare iraniano. Infine di ottenere il sostegno regionale alla posizione degli Stati Uniti di fronte sia alla Cina che alla Russia nel contesto di quello che sembra essere lo scoppio di una nuova guerra fredda”.

Sul versante del Golfo invece si affronteranno i temi dell’energia, della sicurezza, degli appalti militari, delle crisi nella regione, in particolare dello Yemen, della stabilità dell’Iraq, dell’unità di Siria e Libia, della sicurezza del Sudan e di una reale partecipazione per proprio conto ai colloqui sul nucleare iraniano. “Ma questa volta gli stati del Golfo richiederanno fatti invece delle parole”, ha concluso l’analista saudita.



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