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Senza gas è finita anche la Russia, non solo l’Europa. Il crollo di Gazprom

Il gigante del metano russo affonda in borsa dopo lo stop ai dividendi per la prima volta in 24 anni. Mosca ha bisogno di vendere gas per sopravvivere. Ma Fitch avverte, con il razionamento in Europa il rischio di recessione è più che un rischio

E pensare che l’anno, il 1998, è proprio lo stesso in cui Vladimir Putin è salito al potere in Russia. Erano quasi 25 anni che Gazprom, la principale industria della Federazione e primo fornitore di gas dell’Europa, pagava regolarmente i dividendi ai propri azionisti, a cominciare dal Cremlino, il principale. E invece alla fine è successo, quasi a dimostrare che il gas se usato come arma è a doppio taglio, fa male a chi compra ma anche a chi vende.

Nelle scorse ore si è verificato un fatto che a Mosca farebbero bene a non sottovalutare, soprattutto in un momento in cui il Paese è in default, almeno sulla carta. Gazprom ha revocato il pagamento delle cedole per il 2021: una decisione senza precedenti, giustificata con l’aumento delle tasse e la necessità di finanziare investimenti in patria, che le ha fatto perdere quasi il 30% del valore alla Borsa di Mosca, in un solo giorno.

Nelle parole dei vertici di Gazprom c’è tutta l’ammissione di una situazione critica. “Gli azionisti hanno deciso che, in questa situazione, non è appropriato pagare i dividendi per l’anno 2021”, ha indicato Famil Sadyrov, vicepresidente del consiglio di amministrazione di Gazprom, al termine dell’assemblea annuale degli azionisti. Il motivo è presto spiegato. Per sopravvivere alle sanzioni imposte dall’Occidente l’ex Urss ha bisogno di vendere gas. E se comincia a chiudere i rubinetti, l’Europa in piena transizione energetica rimarrà pure al freddo, ma la Russia non incasserà più la sua parte. E allora sono dolori.

Su tutti vale il caso del gruppo tedesco Uniper, principale acquirente di gas russo della Germania, il quale ha lanciato un allarme utili in seguito alla riduzione dei flussi dalla Russia, non escludendo la richiesta di un aiuto pubblico. Le compagnie energetiche tedesche stanno facendo pressione sul governo perché autorizzi un trasferimento degli aumenti sulle bollette di famiglie e imprese. Secondo Timm Kehler, presidente del gruppo industriale del gas naturale Zukunft, le utility chiedono che il governo imponga una tassa sui consumatori in modo che le aziende possano essere rimborsate per i costi aggiuntivi associati alla sostituzione dei flussi di gas russi mancanti. Ma, come detto, meno gas all’Europa vuol dire anche meno margini per Gazprom.

Su chi tra Vecchio continente ed ex Urss abbia più da perdere ha detto la sua l’agenzia di rating Fitch, che ha dedicato alla crisi del gas un report. Ebbene, una recessione è più probabile in Europa se ci sarà un razionamento di gas dovuto ad un’improvviso stop o riduzione delle forniture. Per l’agenzia i rischi sono aumentati “in modo significativo” dopo la recente interruzione delle forniture attraverso il gasdotto Nord Stream 1.

“Nel nostro Global Economic Outlook di giugno le nostre previsioni di crescita per l’Eurozona – al 2,6% nel 2022 ed al 2,1% nel 2023 – erano supportate da uno scenario di base che non presupponeva né un arresto improvviso delle esportazioni russe di gas naturale nell’Eurozona né alcun razionamento del gas”, spiega l’agenzia statunitense, aggiungendo “il recente calo dei flussi di gas russo verso l’Europa ha rinnovato la preoccupazione che la Russia sia pronta a utilizzare le esportazioni di gas come strumento politico, con la Germania che ha recentemente attivato la fase due del piano di emergenza nazionale”.

“La continua interruzione delle importazioni di gas attraverso il gasdotto Nord Stream 1, a meno che non venga compensata con flussi più elevati attraverso altri gasdotti – si sottolinea – ostacolerebbe la capacità del continente di soddisfare il fabbisogno di gas durante l’alta stagione del riscaldamento invernale, nonostante gli sforzi per costruire riserve e ridurre la dipendenza dal gas russo”.

Per Fitch il razionamento del gas è ora uno scenario sempre più probabile, che porterebbe ad un taglio della crescita del Pil della zona Euro tra 1 e 2 punti percentuali nel 2023. Il razionamento infatti intaccherebbe la produzione delle industrie che utilizzano il metano come input chiave, con un impatto sulle imprese lungo tutta la catena di approvvigionamento. C’è da tener conto che negli ultimi anni le importazioni di gas russo hanno rappresentato circa il 30% del totale per l’eurozona e il 60% del consumo di gas tedesco.

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