Fermare il generale Gerasimov e la sua guerra ibrida in Italia si può. Da Londra a Stoccolma fino alla Nato c’è chi ha issato uno scudo contro la disinformazione russa: noi che facciamo? Il corsivo di Enrico Borghi, responsabile Sicurezza Pd e componente del Copasir
“La percezione diventa realtà”. Forse non c’è nulla di più illuminante che questo motto del Centro di Eccellenza Nato per le comunicazioni strategiche per farci comprendere come, in questi tempi di guerra ibrida e “dottrina Gerasimov”, il tema dei fenomeni della disinformazione, della misinformazione e dell’ingerenza straniera nelle democrazie sia diventato una materia centrale per la nostra sicurezza e per lo sviluppo ordinato e libero delle pubbliche opinioni occidentali.
Stiamo vedendo l’applicazione compiuta, sul campo, della tattica di guerra ibrida russa finalizzata a mettere a sistema tutta una serie di attività in funzione del raggiungimento dell’obiettivo finale: la vittoria delle truppe del Cremlino. Oggi in Ucraina, domani chissà.
Come è noto, la “dottrina Gerasimov” ispirandosi alle tattiche sovietiche sulla guerra totale porta alla conclusione che si deve puntare allo smantellamento della società del nemico, non solo del suo esercito, prima ancora di attaccarlo frontalmente. Testuali parole: “Le regole fondamentali di guerra sono cambiate. Il ruolo dei mezzi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici è cresciuto e, in molti casi, ha superato in efficacia il potere della forza delle armi”. Insomma, l’informazione è un’arma, dentro questa logica.
Non stupisce, quindi, che lo sfoggio di tale dottrina, con tutta la sua gamma di applicazioni (disinformazione, propaganda, creazione e diffusione di fake-news, sabotaggi, attacchi cyber, ingerenza nei media stranieri e via discorrendo) punti a individuale gli anelli deboli dei processi decisionali delle democrazie, per rivoltare le istituzioni democratiche contro se stesse.
Ogni linea di frattura, ogni faglia esistente nelle società democratiche viene rinvenuta e scandagliata dal sismografo di San Pietroburgo, con l’obiettivo di enfatizzare le fratture, elevare le profondità delle faglie, aumentare il gradiente di tensione interno ai paesi dell’Alleanza Atlantica. Ecco perché si discute del fenomeno della disinformazione come elemento di sicurezza interna ai nostri Paesi.
Il Parlamento Europeo, con la sua “Commissione speciale sulle ingerenze straniere in tutti i processi democratici nell’UE, inclusa la disinformazione” presieduta dal socialista francese Raphael Glucksmann, ha recentemente fornito le prove che soggetti statuali e non statuali stranieri autoritari e malintenzionati – come Russia e Cina in particolare – ricorrono alla manipolazione delle informazioni e ad altre tattiche di ingerenza per interferire nei processi democratici. Questi attacchi, che il Parlamento europeo conferma come elemento della “guerra ibrida”, costituiscono una violazione del diritto internazionale, sono fuorvianti e ingannano i cittadini con l’intento di incidere sul loro comportamento di voto, aggravando al contempo le condizioni di gruppi vulnerabili che hanno maggiori probabilità di diventare vittime della disinformazione.
Lo scorso 28 giugno, la suddetta Commissione a Bruxelles si è incontrata con il Copasir, e si è ragionato sul rischio di destabilizzazione della democrazia europea, ad iniziare dalle prossime elezioni politiche italiane. Insomma, non si tratta né di bruscolini né di allarmismi: qui è in gioco la sicurezza e la sovranità dei Paesi dell’Unione Europea, a fronte di una grave minaccia condotta con l’obiettivo di destabilizzare le nostre società e le nostre istituzioni. È bene saperlo.
Del resto, Italia a parte, molti sembrano essersi accorti del fenomeno e hanno provato a mettere in campo una serie di contromisure. La Nat0, fin dal gennaio del 2014, ha creato il “Nato Strategic Communications Centre of Excellence” (Nato Stratcom Coe), al fine di operare sul contrasto alla disinformazione, comprendere i fenomeni tramite il monitoraggio e le analisi sistematiche delle informazioni e coinvolgere gli Stati membri.
Negli Stati Uniti, il presidente Barack Obama nel dicembre 2016 ha inserito nel proprio “National Defense Authorization Act” i contenuti di un disegno di legge bipartisan (“Countering Foreign Propaganda and Disinformation Act“) dando vita a un “Global Engagement Center-GEC” finalizzato a combattere la propaganda dei governi stranieri e rendere pubblica la natura delle operazioni di propaganda e disinformazione straniere in corso contro gli Stati Uniti e gli altri Paesi, che ha consentito nell’agosto 2020 al centro di produrre un rapporto dal titolo “Pillars of Russia’s disinformation and propaganda ecosystem”.
In Francia, nel novembre 2018 è stata promulgata la legge sulle fake news contro la “manipolazione delle notizie” in campagna elettorale, con l’introduzione dell’obbligo di rimozione delle notizie false dai social network durante le elezioni politiche, e nel 2021 è stata creata un’agenzia per combattere le manipolazioni delle informazioni (ribattezzata “Viginum”) con la finalità di combattere “la minaccia informativa e l’ingerenza straniera nel dibattito politico”.
In Germania nel giugno 2017 il Bundestag ha approvato la legge varata dal governo Merkel per migliorare la tutela dei diritti sui social network. Nel Regno Unito, è stato creato nell’ambito dell’Istituto Alan Turing il “Centro per le tecnologie emergenti e la sicurezza” che ha competenze per conto del governo inglese nei settori dell’intelligenza artificiale e della data science con finalità di combattere la propaganda e le fake news russe.
Addirittura in Svezia è stata creata una specifica struttura di intelligence, l’Agenzia per la difesa psicologica (the Swedish psychological defense agency) che risulta essere la prima autorità governativa al mondo creata per proteggere una nazione dalla disinformazione con i metodi di intelligence. Nata nel gennaio di quest’anno, con sede a Karlstad, tale agenzia ha il compito di operare “per la difesa proattiva delle informazioni” intesa come risorsa di interesse nazionale ed ha l’obiettivo di “salvaguardare la società aperta e democratica, la libera informazione dell’opinione pubblica la libertà e l’indipendenza della Svezia”.
Essa opera attraverso la difesa psicologica dei propri cittadini con l’impiego di tutti gli strumenti conosciuto per identificare, analizzare, prevenire e sterilizzare la disinformazione volta a influenzare indebitamente le percezioni, i comportamenti e il processo decisionale dei cittadini. Uno degli suoi obiettivi principali è la preventiva individuazione delel campagne di influenza con una regia dall’estero e degli attori che dentro e fuori la Svezia conducono un’agenda per colpire la fiducia pubblica verso il Paese e la sua società aperta e democratica usando metodi come l’ansia e argomenti falsi con impatto sociale fortemente polarizzante.
E in Italia? Possiamo e dobbiamo per forza di cose rimanere ancorati a un dibattito talvolta stantìo, ripetitivo e macchiettistico, che rimanda e restringe temi così complessi e delicati a vere o supposte (oltre che piuttosto elementari e superficiali) liste di proscrizione, utili forse più a costruire del vittimismo sul quale si ancorano carriere televisive, accademiche e politiche che non a cogliere la vera importanza della posta in gioco?
Presto dall’Unione europea, vero motore del contrasto alla “dottrina Gerasimov” a tutela della nostra libertà, ci arriverà la nuova legge sui servizi digitali, il “Digital Service Act”, che rappresenta una novità mondiale nel campo della regolamentazione digitale con la sua introduzione del principio secondo cui ciò che è illegale “offline” deve esserlo anche “online”, per proteggere lo spazio digitale dalla diffusione di contenuti illegali e a garantire la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini.
Riusciremo almeno per quella circostanza a dismettere i panni eterni dei guelfi e dei ghibellini, per costruire la via italiana di risposta alla dottrina Gerasimov (possibilmente prima che sia troppo tardi)? Meglio mettersi all’opera.
(Foto: Kremlin.ru)