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Tra governabilità e legge elettorale. La mappa di Celotto

Oggi modificare la legge elettorale risolverebbe la situazione? Non penso, perché le leggi elettorali servono a garantire la rappresentatività e non certo la governabilità. E allora… L’analisi di Alfonso Celotto, professore ordinario di diritto Costituzionale all’Università degli Studi Roma Tre

Si avvicinano le elezioni e puntualmente si ritorna parlare di legge elettorale. Dopo la caduta del fascismo, i partiti del Cln avevano scelto un sistema modello proporzionale semplice, fin dalle elezioni della Assemblea costituente. Un modello che portava in parlamento uno specchio fedele del Paese; ma che comportava sempre governi di coalizione.

Dal 1993 si è passati al Mattarellum: un sistema per 2/3 maggioritario che ha favorito le aggregazioni e ha portato a un sostanziale bipolarismo di colazione, addirittura indicando in scheda il nominativo del candidato presidente del Consiglio. Così, la sera delle elezioni si sapeva chi aveva vinto, anche se – essendo comunque rimasti in un sistema parlamentare – non era escluso che si formassero governi differenti in corso di legislatura (la caduta del Berlusconi I nel 1994 e la formazione del governo Dini ne sono esempio lampante).

Poi nel 2005, sulla spinta del centro-destra, si è tornati a un proporzionale semplice, ma con la forte correzione di soglia di sbarramento e premio di maggioranza (oltre alle liste bloccate: Porcellum). Un premio di maggioranza secco al primo partito o coalizione, pur diverso alla Camera (su base nazionale), rispetto al Senato (su base regionale). Così la sera delle elezioni sapevamo chi aveva vinto, ma con governi in difficoltà al Senato (basti per tutti ricordare Prodi II nel 1996 e Bersani nel 2013 che addirittura il governo non è riuscito a formarlo).

Ma è emerso un significativo problema di costituzionalità quando ci è accorti che il premio di maggioranza serviva sì a garantire la governabilità, ma favorendo eccessivamente il partito vincitore delle elezioni: il caso è emblematicamente ancora quello del Pd nel 2013 che con il 25% dei voti si è trovato ad ottenere il 54% dei seggi alla Camera. Uno svilimento palese della uguaglianza del voto, tanto da portare la Corte costituzionale a pronunciarsi duramente nel senso della illegittimità del modello (sent. n. 1 del 2014).

Poi faticosamente è stato approvato l’Italicum. Mai utilizzato, ma subito dichiarato incostituzionale per il premio di maggioranza comunque eccessivo, anche se con il doppio turno di ballottaggio (sent. n. 35 del 2017). E così siamo arrivati a votare con il Rosatellum: che è un sistema per 2/3 proporzionale e per 1/3 maggioritario, che comunque porta a risultati elettorali frastagliati, in un paese politicamente frastagliato.
La fatica con cui si sono formati i governi Conte I e II ne sono esempio emblematico.

Come ora vediamo le difficoltà del governo Draghi. Oggi, modificare la legge elettorale risolverebbe la situazione? Non penso, perché le leggi elettorali servono a garantire la rappresentatività e non certo la governabilità. Per lavorare sulla governabilità bisogna intervenire sulla forma di governo, passando a un modello presidenziale, alla francese o alla statunitense, modificando la costituzione. Eppure, sono certo che nei prossimi mesi continueremo a discutere animatamente di legge elettorale. Forse con quella stessa animosità con cui alcuni storici continuano a discutere sul se Carlo Magno fosse francese o tedesco…

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