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Spavento senza fine o fine spaventosa? La crisi politica nel mosaico di Fusi

Se si vuole essere onesti intellettualmente è giusto dire che le condizioni nelle quali il Capo dello Stato ha affidato, con disperazione mista a speranza, il timone del comando governativo a SuperMario sono via via evaporate. E niente può ripristinarle

E adesso c’è chi vorrebbe semplicemente pigiare il tasto Rewind e tornare indietro come se nulla fosse. Con Mario Draghi che, mascariando la sua immagine di hombre vertical accetta di continuare a comandare un vascello con troppe e troppo vistose falle sotto la linea di galleggiamento; con Giuseppe Conte che produce continue giravolte tutte col segno del logoramento, e con un presidente della Repubblica che si compiace del fatto che la legislatura arriva a scadenza naturale pur se animata da un esecutivo che è un ectoplasma.

Too little, too complicate direbbero sull’altra sponda dell’Atlantico – ma anche a Bruxelles – dove pure si guarda con sconcerto e preoccupazione agli infiniti arzigogoli della politica italiana. È vero che privarsi della guida autorevole e prestigiosa di SuperMario è un sorta di harakiri del Paese che nemmeno nei peggiori incubi: un danno tremendo. Ma è altrettanto vero che costringere il presidente del Consiglio dimissionario a impelagarsi tutti i giorni con le pastette di un Palazzo che si comporta come un formicaio impazzito è un danno altrettanto vistoso, forse perfino peggiore.

La giornata di ieri – metafora perfetta dello stato di confusione venato di irresponsabilità che attanaglia come un sudario il sistema politico italiano – si è conclusa con due gesti a loro modo entrambi definitivi: le dimissioni del premier e la decisione di Mattarella di rinviarlo alle Camere. A quell’appuntamento mancano un centinaio di ore o poco più: un prateria per i pontieri di tutti i colori e di ogni risma. E se il percorso è questo ed è segnato, tuttavia è la meta di tanti sforzi, in molti casi interessati, che rimane avvolta nella nebbia.

Nel commiato con i ministri prima di salire al Colle per formalizzare le dimissioni Draghi è stato netto, con l’atteggiamento di chi intenzionalmente si brucia tutti i vascelli alle spalle: “La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione, non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo”. È possibile colmare in cinque giorni una tale voragine politica? E come?

Se si vuole essere onesti intellettualmente è giusto dire che le condizioni nelle quali il Capo dello Stato ha affidato, con disperazione mista a speranza, il timone del comando governativo a SuperMario sono via via evaporate. E niente può ripristinarle. Doveva essere una stagione nella quale le forze politiche, finite in un vicolo cieco di impotenza, avrebbero dovuto impegnarsi in uno sforzo di rigenerazione al riparo della figura di Draghi. Così non è stato e al contrario molti l’hanno considerato una sorta di usurpatore di cui disfarsi il prima possibile. Su tutto questo, hanno poi aleggiato le contorsioni di un MoVimento decimato è rimasto senza capo né coda, tenacemente inchiodato alle poltrone del potere nonché altrettanto pronto a piegarsi alle sirene dell’opposizione anti-sistema. Mattarella-Draghi è stato un binomio esaltante di cui adesso resta solo cenere, e la vicenda della corsa per il Quirinale ha lasciato il segno.

Capire cosa può succedere adesso è complicato. Assai meno capire cosa non può succedere, e cioè che si ripristino con un gioco di prestigio procedurale, tipo un voto di fiducia che funzioni come una sorta di scurdammoce ‘o passato, le condizioni denunciate da Draghi nel suo addio al Consiglio. In assenza di queste, tutto il resto minaccia di essere pantomima. Sia quella di un Draghi che fa finta di nulla e accetta di legarsi al palo di un novello San Sebastiano, sia quella di un Conte che ingurgita tutto in un dietrofront colmo di strumentalità.

Rimane in tutta la sua problematicità e urgenza il nodo di come concludere la legislatura. Qualcuno ventila il nome del ministro dell’Economia come successore del presidente del Consiglio. Altri suggeriscono quello di Carlo Cottarelli, che il trolley l’ha sempre pronto. Oppure di fronte ad uno spavento senza fine si preferirà una fine spaventosa convocando i comizi del voto anticipato. Dove, sulla base dell’attuale legge elettorale, si confronteranno offerte politiche basate su alleanze o inverosimili o di cartapesta, in ogni caso incapaci di assicurare la governabilità.

Una legislatura nata all’insegna del trionfante mix di populismo e demagogia si conclude in una contorsione di tatticismo e irresponsabilità. In fondo, niente di sorprendente.

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