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Il governo dei migliori non è il migliore dei governi. Scrive Mastrapasqua

L’esecutivo guidato da Mario Draghi è davvero quello dei migliori? Ha incontrato difficoltà, e non poche, e forse alcuni errori hanno inciso sulla scelta del presidente del Consiglio. L’opinione di Antonio Mastrapasqua

In attesa di mercoledì è giusto fare qualche bilancio sul governo dei migliori. Il rituale che ha suggerito il Capo dello Stato non è nuovo e potrebbe collocare il governo Draghi nella piena continuità delle liturgie della politica e delle istituzioni. E in verità, nonostante la retorica di questi mesi, il governo non ha fatto strappi. Nessuna disruption, come potrebbe dire chi ama gli anglicismi.

Sulla giustizia, sulla concorrenza, sulla delega fiscale, sul mercato del lavoro – e potremmo continuare – non ci sono stati provvedimenti che una maggioranza dell’85% e il migliore al governo avrebbero potuto giustificare. Nemmeno il Pnrr – dopo la compilazione dello scorso aprile – è partito sulla strada giusta. Si è manifestata subito l’incapacità di mettere a terra i progetti proclamati.

D’altronde – e sarà un dettaglio, ma il diavolo si nasconde nei dettagli – la continuità del governo Draghi con il passato si era vista nella scelta di imbottire gli apparati (dai capi di gabinetto alle segreterie tecniche dei ministeri) di giuristi, quasi sempre magistrati amministrativi sottratti alla loro attività ordinaria e applicati a supporto del governo, per navigare meglio e più spediti nella burocrazia (quella cattiva, si suppone, per rammentare una delle opposizioni evocate da Mario Draghi all’inizio del suo mandato).

Poi succede invece che tra gli inciampi e i lacci del governo – qualcuno lo abbiamo segnalato, ma potremmo aggiungere: il rinnovo del Reddito di cittadinanza senza nessuna discontinuità, i ripensamenti continui sul superbonus 110%, la politica dei bonus più o meno a pioggia – emerge anche una inadeguatezza giuridico-amministrativa.

Il dettaglio riguarda la decisione di decidere – dalla sera alla mattina – l’esproprio della concessione autostradale A24 e A25, a suo tempo assegnata con una gara europea a Strada dei Parchi, società del gruppo Toto. Scelta opinabile, visto che non c’è nessuna sentenza di condanna a carico del concessionario, nemmeno in primo grado, ma solo alcune indagini avviate dalle Procure competenti sul territorio. Basta un’indagine per indicare “gravi inadempienze” che giustifichino l’esproprio? Al ministero guidato da Enrico Giovannini evidentemente è bastato. Ed evidentemente il pool di giuristi e magistrati amministrativi – sottratti alla loro attività per assicurarli al supporto del governo dei migliori – hanno avuto lo stesso sentire.

Peccato che il Tar del Lazio in quattro giorni abbia ribaltato la situazione, accogliendo la sospensiva di Strada dei Parchi. La concessionaria delle autostrade di A24 e A25 aveva presentato un ricorso davanti al Tar in risposta alla revoca anticipata in danno, cioè per inadempienze contrattuali, della concessione in scadenza nel 2030, decisa dal Consiglio dei ministri.

Al di là del merito – dal quale stiamo lontani per assoluta incompetenza a giudicare, anche se la decisione del governo era parsa a molti un po’ divergente da quella utilizzata in altri casi, pur avendo a disposizione il famigerato articolo 35 della legge del 2019 approvata dopo la tragedia del ponte Morandi – il metodo getta sul governo un’inquietante ombra di improvvisazione che mal si addice all’appellativo “dei migliori”.

C’è chi giura che Mario Draghi – tra un colloquio con Giuseppe Conte e una riflessione sul futuro del suo governo – abbia cercato di individuare il colpevole di questa figuraccia. Farsi bocciare un decreto dal Tar del Lazio non è indice di competenza da parte dello stuolo di giuristi applicati ai destini del governo. Colpa del Mims (Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili) per competenza? Colpa del Mef per mancato controllo? Colpa della struttura di Gabinetto di Palazzo Chigi?

Di certo il migliore dei migliori non si aspettava di farsi bocciare dal Tar. A che gli servono tutti i “mandarini” di cui si sono riempiti i ministeri se non sanno scrivere un decreto che resista al Tar del Lazio? Ora tutto è più sbiadito, poiché i riflettori si sono puntati su “Giuseppi” e sulla tassonomia delle forze costituenti il governo. Quali sono i “veri” rappresentanti del M5S? I fedeli di Di Maio o i seguaci di Conte? La figuraccia anti-Toto può finire in archivio. Di certo nell’archivio delle manifestazioni di un governo che al di là del nome affibbiatogli, dei migliori non trova traccia.


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