In un importante articolo sulla guerra in Ucraina, il direttore de La Civiltà Cattolica indica un metodo per non cadere nella logica dei buoni contro i cattivi, senza alterare la realtà tremenda dei fatti. È un metodo che l’Europa potrebbe assumente politicamente, per proporre una pax culturalmente europea
L’articolo sulla guerra in corso in Ucraina pubblicato su La Stampa dal direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, è molto importante. È importante per quello che dice, molto più che per il ruolo del suo autore. Assume da subito una prospettiva diversa da quella che istintivamente percepisco dentro di me e per resistere al rischio di una lettura superficiale sono andato subito a sfogliare uno dei volumi che custodisco con più cura, e facile reperibilità, nella mia libreria. Lo ha scritto Giancarlo Bosetti e il suo titolo è “La verità degli altri”. Non vuol dire che la verità non esiste, non è un’opera relativista, piuttosto è un caposaldo, in italiano, del pluralismo. Avevo bisogno di rileggere almeno la dedica, questa: “Dedicato a tutti i monisti, che custodiscono l’albero della Verità nella cucina di casa”. Il monista, al contrario del pluralista, ritiene che sia giusto un solo punto di vista, il suo.
Così leggendo l’articolo di padre Antonio Spadaro mi sono ricordato di quanto scrisse secoli fa un grande non molto amato nei sacri palazzi: “Le azioni umane non vanno lodate, irrise, detestate, ma comprese”. Comprese non vuol dire giustificate e l’originale, in latino, aiuta a capire molto meglio. Il verbo latino usato da Baruch Spinoza per questa sua celeberrima frase è “intelligere”. Capire, intelligere cosa provochi un nostro dolore ci consente di curarlo, non giustifica il dolore.
Buona parte dell’articolo di padre Antonio Spadaro è teso ad andare al di là della barricata. Capire la storia di questa guerra dal punto di vista del Cremlino è importante. Prima di tutto per noi, per non assolutizzare il male, non fare di Mosca l’eterno e immodificabile orso polare, o sovietico, col quale nulla potrà mai cambiare. Mi sia consentito un intermezzo scherzoso: con i mutamenti climatici anche all’orso converrebbe cambiare, almeno un po’, per sopravvivere. Ma questa è un’altra storia. Ma padre Spadaro sa andare oltre questo superficiale sarcasmo e con il coraggio che lo contraddistingue in molte occasioni scrive che anche “intelligere” cose ci portò al nazismo, ed è cruciale per evitare che quella pagina nera possa ripetersi.
Si potrà obiettare che questa oggi appare una discussione accademica; i fatti, la realtà orrenda dell’oggi, tuto questo ci chiama ad altro. Certamente, ma se vogliamo considerare il presente come una soglia e non come un bunker dobbiamo immaginare come muoverci, e perché. Quello del presente vissuto come una soglia è un punto decisivo di molti scritti di padre Spadaro: in questo non lo cita, ma l’orizzonte in cui si pone a me sembra questo. Unendo questo suo pensiero a quello di un filosofo arabo che amo moltissimo, Yassin al-Haj Saleh, per il quale il presente è la casa del tempo, arrivo a capire il presente come la soglia quotidiana della mia vita, della nostra vita. Possiamo sempre scegliere, andando incontro al domani, un cammino, anche diverso.
Liberarsi dal monismo non vuol dire condividere la visione del Cremlino. E infatti Spadaro ci ricorda che la guerra di Mosca è una guerra d’invasione, irriguardosa delle più elementari norme, perché anche le guerre hanno dei codici comportamentali. Ciò nonostante dobbiamo capire che vista da Mosca la storia è stata un progressivo tentativo della Nato di isolarla, allontanarla, marginalizzarla. È il discorso che ha fatto anche Francesco e che Spadaro spiega in una prospettiva di governo mondiale, cioè una ricerca di compatibilità. Questa ricerca di compatibilità c’è stata? Qui l’autore cita Giuliano Amato e Xavier Solana per farci capire che poteva esserci e non c’è stata abbastanza.
Questa ricostruzione rimuove dal terreno l’arma più odiosa della propaganda pro-russa: non c’è una proxy-war. Gli ucraini non si sono resi utili idioti dell’espansionismo a stelle e strisce. Piuttosto c’è stata un’incapacità, o un disinteresse, a rendere compatibili – magari all’interno di un processo evolutivo – i loro diritti e le esigenze di Mosca. Anche la giustizia è un processo: e se è giusto che l’Ucraina abbia un sua strategia nazionale di difesa, questa giustizia si realizza per tappe.
Io ho interpretato così il senso del suo articolo e spero di essere stato fedele se non alla parola al suo senso.
Quando ho finito di leggere mi sono convinto di essere d’accordo con lui. Non senza qualche difficoltà: perché credo che se questo impianto fosse stato assunto anche ai tempi della Cecenia e della Siria, per capire i punti di vista di quei popoli, le loro verità, forse non saremmo qui. Ma la storia non si fa con i se e oggi io sono d’accordo con lui; devo sottrarmi al mio istinto o desiderio di vendetta, altri ne avranno altre di simili brame. C’è la collera, mi ha insegnato padre Paolo Dall’Oglio, ma poi segue la luce, o la sua ricerca. Anche per questo concordo con un altro aspetto del testo di padre Spadaro. Non discutere delle qualità o carenze della “democrazia ucraina”. Per un Paese che vive da anni sulla soglia, ma di un burrone, questo sarebbe stato presuntuoso e supponente. C’è una pretesa, soprattutto in certo ambienti della sinistra politica internazionale, di parlare per conto degli ucraini che è davvero insopportabile.
Ma noi? Cosa potremmo fare noi “Europa politica”? Potremmo estendere questo metodo anche agli Stati Uniti d’America. Ne siamo i principali alleati. E come guardiamo, come capiamo gli Stati Uniti? Sono solo gli eterni sceriffi del mondo? Io credo che per diventare davvero Europa dovremmo liberarci da questo stereotipo. Se la russofobia esiste, da sempre, con il mito “dell’orso”, non c’è anche uno stereotipo culturale antiamericano? Nella mia esperienza personale proprio i libri di Antonio Spadaro mi hanno fatto capire quanto i miti siano realtà. I romanzi, la poesia, le canzoni, sono parte della realtà, della nostra realtà. E il mito di Kerouac, della strada, è un pezzo della nostra realtà. In Kerouac la soglia da varcare è in ogni istante della nostra vita. E le canzoni di Springsteen non sono un pezzo della nostra realtà? Perché molti di noi allora si sentono allora condannati all’antiamericanismo? Il discorso sarebbe lungo e doloroso.
Ma se l’Europa vuole essere forza politica di governo mondiale dovrebbe dimostrarsi capace di capire anche il mondo visto da Washington, nel senso citato di “intelligere”: questo ci consentirebbe di proporre non la pax americana ma la pax europea. Oggi infatti abbiamo notizie che a mio avviso confermano una sensazione. In questa guerra c’entra anche il risentimento della democrazia americana verso chi ha tentato il golpe del 6 gennaio, una sorta di epifania delle intenzioni. L’asilo politico concesso da Mosca al golpista della “alt right” poi fuggito in Russia mi conferma in questa sensazione. Un’Europa intelligente non giustifica, ma comprende e cerca di elaborare una visione che metta al riparo gli interessi legittimi da quelli illegittimi. E questo oggi si fa riequilibrando la globalizzazione.
Gli Stati Uniti sono un Paese in pericolo, questo dobbiamo capire. Forse il punto non è questo, la pubblicazione della telefonata tra Macron e Putin potrebbe smentirmi (sebbene non necessariamente). Ma se non vogliamo pensare a una pace basata solo sulla forza, l’Europa può trovare in questo metodo la sostanza della sua autorevolezza, per uscire da questa crisi migliori e non peggiori, come ci dice che è sempre possibile papa Francesco. Il metodo Spadaro, se vogliamo dir così, potrebbe essere assunto dall’Europa, applicandolo da alleata e interlocutrice.