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Le influenze russe sulla crisi politica italiana ed europea

Scholz e Macron indeboliti, Johnson si è dimesso. Rimaneva l’Italia, con il suo presidente, Mario Draghi, capace di offrire una guida sicura, non solo al suo Paese, ma all’intera comunità europea, costretto alle dimissioni per le contorsioni dei 5 Stelle. Putin brinderà. Celebrando il suo piccolo capolavoro politico

Intervenendo sulla crisi scatenata da Giuseppe Conte, Stefano Folli, dalle pagine de La Repubblica, si era chiesto, con un pizzico di ragione: “Esiste la buona fede? – Ovvero ci sono – come molti sospettano – forze più grandi ed opache che hanno deciso di far inciampare Draghi, costi quel che costi? Nessuno al momento ha una risposta a tali dubbi, benché sia evidente che la crisi italiana è seguita con attenzione all’estero e soprattutto a Mosca”. Sospetti pesanti come pietre.

In effetti per lo storico del domani non sarà facile decifrare i misteri che, in questi ultimi due o tre anni, hanno caratterizzato l’evolversi del quadro geopolitico internazionale. A partire dalle cause effettive che sono state all’origine della nascita e dello sviluppo del coronavirus. La comunità scientifica ha messo rapidamente al bando le teorie di Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008, per le sue asserite affermazioni circa l’origine artificiale del virus. In pratica una costruzione di laboratorio.

Sarà senz’altro così. Ma alcuni interrogativi rimangono. A partire dalla scarsa voglia delle autorità cinesi nel fornire le necessarie informazioni, per venire a capo di una vicenda che resta ancora coperta da tanta opacità. C’è poi un dato ancora più preoccupante. Più o meno cento anni fa, l’epidemia di “spagnola” produsse milioni di morti: tra i 50 e i 100 secondo le valutazioni. La sua furia durò pero solo due anni. Poi passò, con il suo strascico nefasto.
Nonostante gli scarsi progressi compiuti, allora, in campo epidemiologico, non vi furono le continue mutazioni genetiche che stanno caratterizzando il Covid-19. L’ultima, la “Centaurus” promette sfracelli. In questi ultimi cento anni, sembrerebbe quindi che i progressi realizzati in campo medico siano stati poca cosa nella lotta contro questa nuova forma di flagello. Il cui dilagare ha direttamente influito sugli sviluppi della stessa globalizzazione.

Nel 2018 – altro elemento che gli storici dovranno valutare – l’attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti della Cina, aveva toccato il suo minimo storico: 0,2 per cento del Pil, contro il picco del 9,9 per cento del 2007, l’anno che aveva preceduto la crisi dei subprime americani. Da allora un progressivo declino. E l’avvio, dopo il 2018, di una fase che non avrà più nulla a che vedere con i fasti precedenti. Che cosa ci dicono questi dati? Che l’epidemia del Covid-19 non ha fatto altro che accentuare la de-globalizzazione, i cui prodromi si erano manifestati, appunto, nei dieci anni precedenti.

Ma la crisi del 2008, anche se il suo effetto sarà leggermente ritardato, aveva prodotto una seconda vittima. L’abbandono da parte della Russia di Putin del sogno, tentato dagli inizi del Terzo millennio, di un’omologazione del suo Paese al modello occidentale. E quindi il suo regredire, prima sul piano culturale quindi su quello politico, verso l’esaltazione del passato imperiale del suo Paese. Che poi porterà alla svolta nei confronti dell’Ucraina e alla decisa ostilità verso l’Occidente. Considerato ormai in progressivo disarmo.

I riflessi di quell’evoluzione sulla situazione italiana erano apparsi evidenti, fin dall’inizio. Il 23 marzo del 2019, Giuseppe Conte, in pompa magna, aveva firmato con Xi Jinping (il leader cinese) a Palazzo Madama, il Memorandum sulla via della Seta. Angela Merkel ed Emmanuel Macron avevano assistito furenti. Al dossier avevano lavorato sia Luigi Di Maio, per i 5 Stelle, sia Michele Geraci della Lega, nonostante la contrarietà di Giancarlo Giorgetti, che nulla aveva potuto contro il protagonismo del segretario del suo Partito.

Nel frattempo il populismo, soprattutto anti europeo, faceva passi da giganti. Lega e 5 Stelle facevano a gara nel dimostrare la loro crescente disaffezione. Fratelli d’Italia si ritagliava un suo proprio spazio, predicando la religione del sovranismo. Distinta, anche se non distante, dal resto degli alleati di centrodestra. Si moltiplicavano gli incontri con il gruppo Visegard (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia ed Ungheria), oggi praticamente disciolto, sotto l’incalzare della guerra. Mentre sul fronte delle alleanze politiche era una ricerca continua di alleanze con le altre forze euroscettiche: dal Front national di Marie Le Pen ad Alternative für Deutschland.

Solo politica? Fino ad un certo punto. Se non vi fossero stati episodi misteriosi. L’incontro di Gianluca Savoini (18 ottobre 2018), uomo di Matteo Salvini, presidente dell’Associazione culturale Lombardia-Russia, all’Hotel Metropol di Mosca per negoziare una partita di petrolio con alcuni oligarchi, amici di Putin. Quindi l’arrivo in Italia (marzo-aprile 2020) di una task force russa (più militari che sanitari) per dare una mano contro il diffondersi dell’epidemia. Che nel frattempo si era appena manifestata.

In giro per il Bel Paese con bandiere russe dispiegate al vento e libero accesso, prima dei necessari provvedimenti di sicurezza, in settori sensibili della sanità italiana, il loro arrivo era stato direttamente concordato da Conte con Putin. Ma era stato il ministro della difesa, Lorenzo Guerini a decidere, subito dopo, la stretta sulla sicurezza. Ottenendo come ricompensa la qualifica di “falco” anti russo, da parte di Alexei Vladimorovic Paramonov, ex console di Milano, con al petto onorificenze dello Stato italiano, concesse su iniziative del ministro degli Esteri (2018) e dello stesso presidente del Consiglio: Giuseppe Conte.

Nella tradizione russa, specie quella sovietica, le “aktivnye meropriyatiya”, ossia le “misure attive” di sovversione e condizionamento nei confronti dell’estero erano state delle pratiche consolidate. Derivavano in parte dalle modalità che caratterizzavano la struttura organizzativa dei partiti che si richiamavano al movimento operaio. Il Cominter era la cupola politica, saldamente controllata da Mosca, per imporre all’intero movimento obiettivi in grado di tutelare la patria del socialismo reale. Comportava un’egemonia culturale ed organizzativa, ma anche una disponibilità di mezzi – l’oro di Mosca – in grado di oliare i necessari meccanismi.

La rottura operata da Vladimir Putin, nei confronti di quella tradizione nella riscoperta delle origini imperiali di Santa madre Russia, non aveva comportato un loro pensionamento. Al contrario. Come si era visto chiaramente nelle presidenziali americane, a favore di Donald Trump e contro Hillary Clinton, quelle misure erano state rafforzate. Grazie alle possibilità offerte dalla rete, che avevano consentito agli hacker russi di potenziare al massimo la loro capacità manipolativa.

Per l’Europa, invece, era stato più facile, grazie all’azione delle quinte colonne che avevano operato all’interno dei vari Paesi. In Francia, ad esempio, il finanziamento del Front National, tramite banche russe ed ungheresi, aveva accompagnato la nascita del Rassemblement National (Rn), che aveva preso il nome della precedente formazione politica della Le Pen.

In Italia, nel 2010, secondo i dati pubblicati dal Mise, le importazioni di gas russo avevano toccato il loro minimo storico (14.964 milioni di mtc). Poi il connubio Berlusconi a Palazzo Chigi e Paolo Scaroni, all’Eni, aveva fatto sì che quelle importazioni aumentassero a dismisura. Raggiungeranno il loro apice (più del doppio rispetto a 2010) durante il Conte I: 33.449 milioni di metri cubi.

Dal punto di vista russo, quella era risultata essere l’attività politicamente più redditizia. Con risultati, nell’uso di una political commodity, come il gas o il petrolio, decisamente superiori ai successi militari sul campo di battaglia. L’inflazione indotta dagli aumenti dei costi dell’energia avevano creato, infatti, in tutti i Paesi occidentali, un parapiglia economico. Destinato a riflettersi sia sul terreno politico che su quello istituzionale.

In Gran Bretagna, le grandi manifestazioni di piazza, avevano tolto credibilità a Boris Johnson, fino a costringerlo alle dimissioni. In Francia, Emmanuel Macron aveva vinto le presidenziali, ma il suo partito (Ensemble) aveva perso la maggioranza parlamentare, alle politiche. Sarà tra l’altro difficile, formare un governo di coalizione. In Germania le incertezze legate alle forniture di gas, avevano reso sempre più oscillante la guida di Olaf Scholz, determinando forti ritardi nelle forniture di armi, promesse all’Ucraina.

E ancora Pedro Sanchez che paga il treno ai cittadini per evitare rivolte di piazza e il voto anticipato e Mark Rutte, in Olanda, con il Paese paralizzato da contadini inferociti. “Scusate – si chiede Money, un giornale on line che si occupa di problemi finanziari – ma non doveva essere Vladimir Putin quello in difficoltà e sull’orlo della cacciata a furor di popolo dal Cremlino?”.

Rimaneva l’Italia, con il suo presidente, Mario Draghi, capace di offrire una guida sicura, non solo al suo Paese, ma all’intera comunità europea, costretto alle dimissioni per le contorsioni dei 5 Stelle. Apparentemente immolato a causa di un termovalorizzatore. Oggi Putin brinderà. Celebrando il suo piccolo capolavoro politico. Potendo compensare, con la crisi italiana, gli smacchi finora subiti sul terreno militare, grazie all’eroismo di un popolo deciso a non perdere la propria libertà.

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