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L’interesse nazionale è la vittoria della pace (non la sconfitta di Putin). L’opinione di Pietroni

Gli interessi delle nazioni europee impongono ai governi di abbandonare politiche oltranziste e farsi carico della complessità del quadro bellico e socioeconomico, utilizzando le armi, i finanziamenti e le sanzioni per favorire un negoziato di pace. L’opinione di Nazzareno Pietroni

Quattro mesi di guerra, oltre centomila morti tra civili e soldati, città e Paesi distrutti, violenze e crimini contro l’umanità. Ma anche aumento dei costi energetici, scarsità di approvvigionamento di gas e materie prime, inflazione in forte crescita, caduta dei mercati finanziari, tensioni internazionali.

In questa situazione l’Occidente insiste in una strategia fortemente conflittuale verso la Russia, finalizzata a sconfiggere Putin, per riaffermare i valori della democrazia e della pacifica convivenza tra i popoli, punire l’aggressione di una nazione libera e sovrana da parte di uno Stato autoritario, indebolire la Russia sul piano politico, militare ed economico, dissuadendola da propositi espansionisti. Strumenti di tale obiettivo sono le sanzioni internazionali, l’invio di armi e finanziamenti agli ucraini, l’allargamento della Nato a est e l’isolamento diplomatico e culturale di Mosca.

Tale impostazione corrisponde agli interessi nazionali dell’Italia e dell’Europa? La risposta dipende dall’approccio che si adotta. Se si assume una postura esclusivamente valoriale, non c’è dubbio che l’Occidente debba impegnarsi in ogni modo per difendere i princìpi democratici e contrastare l’azione di una leadership russa autoritaria e guerrafondaia, continuando ad armare/finanziare Kiev e sanzionare Mosca, fino alla sconfitta di Putin, in prospettiva di un ristabilimento della legalità internazionale.

Ma se si adotta una prospettiva più ampia, l’analisi deve farsi carico delle implicazioni dell’espansione a est della Nato, della dinamica delle zone di influenza, di otto anni di sanguinosa guerra nel Donbass: elementi che dovrebbero portare a un approccio più aperto al tema, dal quale far scaturire risposte articolate a questioni complesse. Nella stessa prospettiva va considerata la realtà del conflitto e del quadro globale: una sconfitta sul terreno dei russi è improbabile, salvo l’intervento diretto della Nato, con gli enormi rischi connessi; di fronte al rischio di una sconfitta sul campo, la Russia potrebbe essere spinta a reagire con armi di distruzione di massa, anche a costo di allargare o aggravare il conflitto, in caso di effettiva sconfitta militare, Mosca coverebbe pericolosi intenti di rivincita, l’implementazione nel tempo delle sanzioni produce effetti strategici marginali ma è in grado di causare gravi danni socioeconomici all’Europa, nello scenario internazionale, le posizioni occidentali non sono condivise da molti e importanti Paesi.

Allora la politica, l’informazione e la cultura sono chiamate a rimodulare il pensiero dominante e superare le polemiche pro/contro Putin o le divisioni tra paurosi e coraggiosi da salotto, operando a favore di un bilanciamento dei valori e degli interessi in gioco, con l’intento di salvaguardare i propri valori ma anche di favorire/forzare il negoziato di pace, marginalizzando l’obiettivo della sconfitta di Putin. Questo significa operare affinché l’atlantismo non sia accostato a espansionismo, bellicismo o russofobia, impegnandosi nelle sedi internazionali per far convergere gli alleati su posizioni moderate ed evitare che la guerra diventi il collante politico delle classi dirigenti occidentali, adottare posizioni che non perseguano l’emarginazione internazionale e culturale dei russi, lasciando aperti tutti i canali di dialogo e rinunciando alla comunicazione politica aggressiva, non perseguire la sconfitta del nemico e concentrarsi sulla fine delle ostilità, attraverso mediazioni territoriali e politiche, sostenute attraverso la strumentalizzazione di armi, finanziamenti e sanzioni.

Ma, si dice, in tal modo si premia l’aggressività di Mosca e si offrono spazi strategici ai suoi propositi imperialisti. Tale osservazione contiene un elemento morale/politico importante (la resistenza verso comportamenti aggressivi inaccettabili) ma recessivo rispetto ai valori/interessi in gioco; e attribuisce al pragmatismo odierno una valenza negativa per l’avvenire tutta da dimostrare, sacrificando valori/interessi attuali a favore di ipotetici valori/interessi futuri.

Si afferma inoltre che deve essere l’Ucraina a decidere il suo destino, valutando se proseguire la resistenza armata grazie alle armi occidentali e se rinunciare a porzioni del suo territorio. Anche questa impostazione può essere apprezzata sul piano teorico ma difetta su quello pragmatico: l’invio di armi all’Ucraina non è un atto neutro a favore dell’Ucraina ma una scelta cobelligerante che coinvolge forti interessi dei Paesi fornitori, perché alimenta una guerra che contrasta con valori umanitari/pacifisti, rischia di allargarsi e aggravarsi, deteriora il quadro socioeconomico globale e le relazioni internazionali; e la volontà del popolo ucraino su guerra e Nato (in particolare quella delle minoranze russofone) non è stata verificata e potrebbe non coincidere con quella del governo di Kiev.

In questo contesto gli interessi delle nazioni europee impongono ai governi di abbandonare politiche oltranziste e farsi carico della complessità del quadro bellico e socioeconomico, utilizzando le armi, i finanziamenti e le sanzioni per favorire un negoziato di pace fondato sui valori democratici ma anche su mediazioni politiche e territoriali.



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