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Chi condanna l’Italia al piccolo cabotaggio. Il mosaico di Fusi

Tra tentazioni di uno strappo all’italiana e spallucce sul Pnrr, i palazzi romani tornano a ballare nel mezzo di una crisi internazionale. È la conferma di un provincialismo che condanna il Paese al piccolo cabotaggio. Il mosaico di Carlo Fusi

C’è un modo lineare, istituzionalmente corretto, costituzionalmente garantito per Giuseppe Conte di risolvere la questione della permanenza o meno dei Cinquestelle nel governo. Un’ampia discussione interna al MoVimento (o quel che ne resta); la presentazione di una mozione di sfiducia in Parlamento nel caso prevalga la scelta di mollare Mario Draghi, una discussione approfondita nel merito e infine il voto. Al quale far seguire l’eventuale ritiro dei ministri e la formalizzazione della crisi.

È una strada lineare che riscatterebbe la semi-pochade andata in scena nelle ultime ore con pseudo messaggini che ci sono ma non vengono mostrati; minacce e sospetti di altissimo volume che mai si accompagnano a comportamenti conseguenti; una ridda di pissi pissi un po’ per celia e un po’ per non morire neanche fossimo in una soap opera dove più i personaggi affollano la scena, più cresce la confusione e più si alza lo share.

L’Italia non merita un simile balletto, o forse sì perché è il risultato di scelte elettorali che hanno prodotto un minestrone di convenienze, furbizie, trasformismo e velleitarismi che hanno portato i frequentatori del Palazzo in un vicolo cieco. Ora i colpi di coda del marasma a cinque stelle vengono scaricati senza imbarazzi sull’uscio di palazzo Chigi, quasi fosse diventato un discarica.

Finché il percorso indicato all’inizio non verrà imboccato, la chiarezza rimarrà una chimera e il Paese rischierà grosso: non solo l’eventuale addio di SuperMario e le elezioni anticipate bensì ancora una volta l’etichetta di inaffidabilità che tanto ci danneggia a livello europeo.

E infatti l’elemento più straniante e non a caso sottovalutato delle parole del presidente del Consiglio è la denuncia dello iato esistente tra l’azione italiana in ambito Ue, che risulta decisiva come non accadeva da decenni, con un protagonismo tricolore dettato dall’autorevolezza e dalla lungimiranza di chi guida il governo e che provoca ondate di fiducia da parte dei nostri partner, e il dibattito interno che al contrario si nutre di pettegolezzi e ripicche capaci di produrre un mastodontico polverone polemico ma di restare a livello zero quanto a conclusioni efficaci.

Le scelte e l’azione di Draghi a livello europeo danno sostanza alla decisione di destinare all’Italia il maggior flusso di finanziamenti in ambito continentale per il Recovery: un patrimonio da difendere coi denti e con le riforme. Draghi ha specificato che la tabella di marcia stilata con Bruxelles è stata pienamente rispettata. Invece di inorgoglirsi e trovare sprone per marciare sul sentiero tracciato assieme alla Commissione, si preferisce salire sulla giostra della chiacchiera un tanto al chilo, facendo spallucce al Pnrr. È la conferma di un provincialismo che condanna il Paese al piccolo cabotaggio. Sorvolando bellamente sul fatto che quel programma sarà vincolante anche dopo le elezioni del 2023 e chiunque sostituirà SuperMario vi si dovrà attenere pena la perdita di fondi indispensabili per la crescita e lo sviluppo.

Il presidente del Consiglio è stato scelto da Sergio Mattarella all’indomani del collasso delle forze politiche sul fronte della governabilità. I partiti, invece di cogliere l’occasione per un processo di rigenerazione, hanno covato rancore per una mossa che li metteva in mora. Così l’opportunità offerta dall’autorevolezza e dal prestigio dell’ex presidente della Bce, si è sfarinata in un gioco a somma zero di personalismi e bandierine, ottime per alzare il livello dello scontro parolaio nel talk show ma veleno per le necessità e le ambizioni dell’Italia.

C’è molto da fare sul piano internazionale e geo-politico per contenere le ripercussioni negative del conflitto russo-ucraino e salvaguardare i ceti più esposti alla mannaia dell’inflazione crescente. Ma non si può procedere con la riproposizione di quello che una volta si chiamava il teatrino della politica. Se non altro perché gli spettatori se ne sono andati e la platea si è svuotata, come dimostra la  crescente disaffezione elettorale. Dunque il punto resta lo stesso. I meccanismi per chiarire le questioni e provare a risolvere i problemi ci sono. Bisogna avere il coraggio e la responsabilità di imboccarli.


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