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A Landini si è ristretto il campo largo

Il programma della Cgil sciorinato da Landini insieme a un sempre più stretto “campo largo” non solo è fuori tempo, ma è fuori mercato, insostenibile di fronte alla tempesta che sta arrivando. E si rischia di commettere lo stesso errore di cinque anni fa. Il commento di Giuliano Cazzola

“Il lavoro interroga”. É questo il titolo dell’evento promosso dalla Cgil il 1° luglio presso l’Acquario romano, con il seguente ordine del giorno: la crisi della rappresentanza politica del lavoro, il superamento della precarietà, la cosiddetta pandemia salariale e il fisco. Ha coordinato l’iniziativa (woman on show) la giornalista Lucia Annunziata. Ha Introdotto i lavori la vice segretaria generale della Cgil, Gianna Fracassi. È intervenuto nel dibattito il leader della Confederazione Maurizio Landini.

Ovviamente ognuno è libero di invitare a casa sua chi vuole, perché è interessato a conoscere le risposte che darà all’interrogatorio predisposto dal sindacato ospitante. Per inciso, il verbo che funge da predicato non sembra il più adatto per dare conto di un libero confronto di posizioni su temi importanti; sarebbe più adatto in un verbale di una Questura, ma non sono affari nostri. Ma venerdì scorso non si è svolto un incontro tra la Cgil e i partiti; bensì tra la confederazione di Corso d’Italia e gli esponenti di alcuni partiti evidentemente ritenuti ‘’amici’’.

Basta leggere i nomi degli ospiti della politica presenti: Elly SchleinRoberto Speranza, Giuseppe ConteEnrico LettaEttore RosatoCarlo CalendaNicola FratoianniMaurizio Acerbo. Se è facile notare le presenze è ancora più banale accorgersi delle assenze. La Cgil non ha voluto varcare i confini sul lato di destra, anche se quegli stessi confini li hanno varcati, da tempo, i lavoratori e, non è un mistero, persino molti militanti e iscritti della Cgil. Forse, con il mancato invito alla Lega, Landini ha cercato di rimediare a una brutta figura della Cgil quando – all’epoca della maggioranza giallo-verde – Matteo Salvini, prima del capitombolo del Papeete, si mise a giocare in proprio promuovendo, in concorrenza con Palazzo Chigi, delle consultazioni al Viminale di taluni soggetti sociali, estendendo l’invito anche alla Cgil: “La sventurata rispose”.

A commento dell’iniziativa di venerdì scorso verrebbe da citare il poeta: ‘’C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole. Anzi di antico’’. È riemerso nell’incontro del 1° luglio quel progetto, denominato ‘’coesione sociale’’, che Landini promosse quando era all’apice degli insuccessi come segretario della Fiom e proprio per questi motivi era apprezzato da una certa sinistra come il rifondatore di un nuovo corso. Poi, il nostro si accorse di poter aspirare alla segreteria generale della Cgil e archiviò  (“Parigi val bene una messa’’) il suo piano (di cui, peraltro, nessuno aveva ben compresi il significato e gli obiettivi).

Allora, l’ancor giovane Landini seguiva la linea del suo capostipite alla Fiom: quel Claudio Sabattini che si era posto il problema di promuovere, dal sindacato, il partito dei lavoratori (sull’esempio del rapporto TUC e Labour Party). Poi c’era stata l’impresa di Sergio Cofferati, che – uscito trionfalmente dalla Cgil dove aveva persino patrocinato una corrente all’interno dei Ds, regolarmente sconfitta al Congresso di Pesaro da D’Alema e Fassino – era stato indicato dai girotondini come il leader capace di riportare alla vittoria la sinistra. In verità, il Cinese dovette soltanto accontentarsi di riconquistare, da Papa straniero, il Comune di Bologna dopo la sconfitta subita, nel 1999, da parte di Giorgio Guazzaloca.

Tornando all’incontro dell’Acquario romano, Landini ha tentato – sia pure in maniera ancora confusa – un’operazione politica: contribuire alla costruzione di un ‘’campo largo’’ intorno al programma della Cgil. Una sinistra “latu sensu’’ non può permettersi – per tanti motivi – di non prestare attenzione alle iniziative della Cgil che rimane – nel bene come nel male – l’ultimo forza organizzata dotata di quadri, strutture, attivisti e soprattutto delle risorse economiche, indispensabili per fare un po’ di politica.

Ma dopo aver ascoltato <l’interrogatorio> della Cgil, molti degli ospiti sono impalliditi, toccando con mano ciò che li preoccupava quando avevano aderito all’incontro: il programma della Cgil non solo non è sostenibile in una situazione politica, economica e sociale che ha mutato e muterà ancora di più lo scenario nei prossimi mesi. Ma è “fuori mercato’’. È cambiata la fase, ma la Cgil sembra non volersene rendere conto.

Draghi non era certo a conoscenza, ad Elmau, di quanto avrebbe sostenuto Landini alcuni giorni dopo a Roma; ma quando indicava ai partner del G7 il pericolo che la crisi energetica ed alimentare provocasse con l’inflazione galoppante, in autunno, la resurrezione di un bellicoso populismo, pensava certamente all’esplodere di rivendicazioni come quelle proposte dalla Cgil.

Politiche salariali che non invertono il trend dell’inflazione (in pochi mesi siamo arrivato oltre l’8%), ma lo inaspriscono; che si propongono forme di tutela caduche e illusorie, perché non si difende il potere d’acquisto gonfiando l’importo nominale delle retribuzioni e diminuendo quello reale. Non si può non considerare che da alcuni mesi il governo sta facendo fronte al caro bollette con stanziamenti ad hoc a favore delle famiglie più a rischio.

Né si può irrigidire il mercato del lavoro in una fase come questa in cui il sistema produttivo non è in grado di orientarsi su quello che succederà la settimana successiva. La sbornia di carattere monetario ( la sospensione delle regole di bilancio; l’acquisto senza limiti di titoli di Stato da parte della Bce; i piani finanziari faraonici come il Ngeu) deve rientrare in canoni accettabili e sostenibili. La festa non è ancora finita; ma sta per finire.

Il mazziere ha stabilito che è arrivato il momento dell’ultimo giro. Se Landini si fermasse un attimo a pensare si accorgerebbe che – tranne qualche frazione radicale con suffragi modesti presente tra gli ospiti dell’Acquario romano – il suo programma può avere un solo interlocutore: Salvini. E dietro di lui c’è Giorgia Meloni, che è più seria e coerente del leader della Lega, ma è alla guida di un partito che non disdegna la “socialità” delle origini. Lo abbiamo già capito negli anni scorsi: il populismo nasce a sinistra ma si sviluppa a destra. Il caso della Francia fa da scuola. Ma i precursori di questo singolare “transfert” siamo stati noi  il 4 marzo 2018. A volte gli spettri ritornano.



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