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Spezzare l’asse liberismo-sovranismo. Consigli (non richiesti) a Giorgia Meloni

Di fronte alle mancate risposte del liberismo e del sovranismo occorre rivisitare le tradizioni conservatrici e liberali per cercare gli ingredienti necessari alla costruzione di un nuovo pensiero politico del centrodestra. Il corsivo di Marco Mayer

Il potere delle idee è incredibilmente forte, anche quando esse si dimostrano inutili o dannose. Il prezzo della benzina è alle stelle, ma il liberismo non viene messo in soffitta neppure per contrastare il prezzo del gas e del petrolio russo. Non a caso il presidente Vladimir Putin si è definito difensore del libero mercato nel vertice dei Brics della settimana scorsa.

Dopo decenni di neutralità, Finlandia e Svezia hanno chiesto e ottenuto di aderire alla Nato, ma gli ideologi del sovranismo europeo, Marine Le Pen in testa non fanno una piega. Negli Stati Uniti i sostenitori di Donald Trump agiscono ancora in un mondo parallelo in cui il sovranismo è il totem da adorare. Giorgia Meloni, nella sua veste di leader dei conservatori europei, dovrebbe creare un gruppo di studio transnazionale di alto livello per valutare gli esiti (non positivi) del binomio liberismo-sovranismo. È il binomio che simultaneamente o a fasi alterne ha dominato la scena della destra europea e americana nei primi due decenni del terzo millennio.

Di fronte alle mancate risposte del liberismo e del sovranismo occorre rivisitare le tradizioni conservatrici e liberali per cercare gli ingredienti necessari alla costruzione di un nuovo pensiero politico del centrodestra. Per la destra (e anche per la sinistra che tratterò in un’altra occasione) occorrono teorie politiche nuove, più attente alle dimensione sociale e alle sue radici internazionali. L’astensionismo dimostra che un crescente numero di cittadini percepisce la politica come un’attività caratterizzata da sostanziale impotenza.

Di fronte alle difficili sfide che le persone devono affrontare nel corso della loro esistenza alla destra serve calarsi di più in una realtà in cui l’intreccio tra trend locali e internazionali è sempre più intricato e pervasivo. Proviamo ad immaginare la vita delle generazioni più anziane senza l’aiuto pratico e la vicinanza affettiva di decine di migliaia di badanti extracomunitarie/i. Sarebbe un disastro.

L’invecchiamento della popolazione impone una valorizzazione di tutte le professioni di cura e si collega ai diritti e alla difficile integrazione culturale delle famiglie immigrate nell’Italia di oggi e domani. Aiutare finanziariamente (per assumere badanti) le famiglie in difficoltà a prendersi cura dei loro anziani è un segno di civiltà, non dovrebbe essere tema divisivo tra destra e sinistra. Il rispetto verso gli anziani, la tutela del loro ruolo, l’ascolto della loro saggezza è parte integrante delle migliori tradizioni di civiltà (non solo nel mondo cristiano).

Una badante part-time in casa per moltissimi anziani serve a evitare lo spettro delle Rsa. Per inciso un business politico-amministrativo su cui, soprattutto dopo l’altissimo numero di morti per Covid-19, il giornalismo investigativo dovrebbe accendere i riflettori. Tutti i miei colleghi a cui l’ho chiesto, si sono dichiarati contenti se il figlio della loro badante, dopo aver frequentato per 5 anni una scuola italiana, ai 12 anni possa chiedere la cittadinanza italiana. Per loro è una scelta di buon senso anche eliminano i possibili abusi legati a una mala gestione dello ius soli in stile green card. Se poi ai gruppi parlamentari di Fratelli d’Italia cinque anni di scolarizzazione sembrano pochi propongano di alzare il criterio a sei o sette anni, oppure l’età da 12 a 14. Quel che conta è rispettare i bambini e i ragazzi che studiano senza trattarli da “apolidi”. E non mescolare strumentalmente lo ius scholae con la questione assai più controversa della cannabis.

Le battaglie campali su questi temi fanno male al futuro della destra perché nei prossimi anni le famiglie di immigrati serviranno ancora di più e per i lavori di cura nelle famiglie e nel sistema sanitario. Fare una politica per la famiglia significa creare le condizioni perché che i giovani possano fare più figli e non debbano dedicare troppo tempo e/o denaro all’accudimento dei propri genitori anziani.

Non dimentichiamoci, infine, il tema della sicurezza tradizionalmente centrale nell’agenda della destra. A differenza di altri Paesi europei, in Italia le comunità straniere sono state (e sono) una delle “barriere” fondamentali per contrastare con successo il terrorismo; basta parlare con le forze dell’ordine impegnate nella polizia di prevenzione per rendersene conto.

In sintesi, la crisi economica del 2008 ha messo in evidenza i disastri connessi alla globalizzazione “sregolata” teorizzata in precedenza da tanti liberisti. Ma la reazione sovranista che ne è conseguita ha avuto un esito altrettanto asfittico e inconsistente. Basta porsi un paio di domande per capirlo al volo. La prima: come difendere la sovranità dell’Ucraina senza supporti esterni (militari, economici e umanitari) di carattere internazionale? Impossibile. La seconda: poiché il futuro del nostro pianeta dipende dall’Amazzonia e dalle foreste fluviali del Congo, può una materia così importante essere affidata esclusivamente ai governi sovrani di quei Paesi? Ovviamente no.

L’evidenza empirica è incontrovertibile. Quello che non si capisce è perché la crisi manifesta del binomio liberismo-sovranismo non abbia ancora innescato la ricerca di un pensiero politico nuovo nel centrodestra? Che cosa significa essere conservatori liberali nel mondo contemporaneo?  L’imperativo è conservare innovando, non esistono altre scorciatoie.

La prima cosa è liberarsi delle cattive compagnie e mobilitare le migliori energie intellettuali disponibili. In Italia un’esperienza da non imitare è quella dei 5 stelle, decisamente sfortunati nel reclutamento di consulenti esperti e studiosi. Anche Matteo Salvini ha peccato di superficialità quando ha invitato come ospite straniero uno dei più accaniti falchi di Trump, Rudy Giuliani, alla kermesse della Lega di maggio.

È a tutti noto (anche se nessuno ne parla) che il 21 novembre 2021 uno dei più importanti strateghi del sovranismo, Steve Bannon, si è consegnato all’Fbi. Le accuse contro di lui parlano di una sua presunta complicità nell’insurrezione armata del 6 gennaio a Capitol Hill che, in seguito all’audizione di martedì scorso con Cassidy Hutchinson, potrebbe mettere seriamente nei guai Trump.

Il fatto che Steve Bannon si sia consegnato all’Fbi per noi italiani dovrebbe avere a mio avviso un significato emblematico. Al di là del suo destino personale, fu proprio Bannon a scegliere l’Italia come piattaforma di lancio del sovranismo in Europa. Tra il 2016 e il 2019 il suo progetto ebbe un notevole successo culturale e politico. Soltanto nel febbraio 2019 il cardinale Renato Raffaele Martino, uno dei diplomatici vaticani con maggiore esperienza a livello mondiale, lascia la presidenza dell’istituto che avrebbe dovuto gestire la scuola sovranista nella promossa da Bannon nella Certosa di Trisulti. C’è voluto del tempo per capire che era un progetto inconsistente e molto ambiguo anche sotto il profilo religioso.

Un’ipotesi da esplorare è che più che il sovranismo come ideologia sia stata la voglia del sovrano o della sovrana ad attrarre gli umori del popolo.  Il desiderio di trovare una figura carismatica capace di intercettare non solo i valori ma anche e soprattutto le paure. Da qui l’attrazione per personalità forti, si chiamino Donald Trump, Vladimir Putin o Viktor Orbán non importa.

Qualcuno si chiederà perché non ho incluso in quest’elenco una personalità forte come quella di Silvio Berlusconi. Per me la leadership di Berlusconi è stata certamente forte, ma profondamente diversa da quella dei personaggi che ho citato. Ha sempre avuto una visione ottimista, è un amante della vita nonché del partito e del popolo delle libertà. Trump, Putin e Orbán non si caratterizzano come paladini delle libertà, al contrario sono autoritari e cupi nonché abilissimi a interpretare e ingigantire le paure che attraversano la società di oggi (guerra, pandemia, siccità e carestie).

Nei panni DI Meloni cercherei di capire le ragioni culturali che la portarono al suo breve flirt con Bannon e cercherei di rileggere Karl Popper che può offrirle tanti spunti di riflessione. Forse le può servire anche ripensare all’esordio di Forza Italia che nei primi anni ha costruito la sua identità politica su libertà civili e diritti.

Essere conservatori nel mondo di oggi significa infatti battersi innanzitutto impegnarsi duramente per conservare i valori e la pratica delle società aperte. In Europa le società aperte sono minacciate su tanti fronti a partire dalla guerra di Putin e dalla sfida sistemica di Pechino.

In nome delle società aperte più che a fusioni con L’ombroso (e sempre troppo serioso) Salvini, Forza Italia di Berlusconi dovrebbe guardare con attenzione alla evoluzione di Fratelli d’Italia. È presto per progettare un matrimonio, ma forse é lì che dovrebbe guardare per difendere i valori delle società aperte. Dipende dal coraggio autocritico di cui Meloni sarà capace. Non basta archiviare Bannon per conquistare la simpatia della destra liberale e di tutto il popolo delle libertà.

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