L’azienda Ganfeng Lithium ha acquisito un gruppo minerario argentino, che detiene i diritti per lo sfruttamento di due giacimenti. Una mossa che consolida ulteriormente il potere di mercato di Pechino sul materiale critico per la corsa globale alle batterie. Ecco gli ultimi sviluppi lungo la supply chain
Il gigante del litio Ganfeng Lithium Co. Ltd ha annunciato un investimento da circa 962 milioni di dollari per acquisire due miniere in Argentina, mentre le principali aziende cinesi attive nella filiera del litio aumentano gli investimenti per trarre vantaggio dalla crescente domanda per le batterie, componenti chiave dei veicoli elettrici (EV).
L’acquisizione avverrà tramite una sussidiaria di Ganfeng, GFL International, che rileverà il 100% delle quote della società argentina Lithea Inc., azienda che è proprietaria di due laghi salati a Pozueolos e Pastos Grandes, nella provincia argentina di Salta. Insieme, i due siti potrebbero soddisfare una produzione annuale stimata a 30.000 tonnellate di carbonato di litio, materiale chiave per la fabbricazione dei catodi per le celle dei battery pack. Ganfeng potrebbe espandere la produzione a 50.000 tonnellate a condizione di mercato favorevoli, con il 2024 l’anno per l’avvio delle prime consegne commerciali.
Lithea è di proprietà di LSC Lithium, a sua volta controllata da Pluspetrol, la compagnia privata leader nel settore oil & gas in Sud America. Pluspetrol ha completato l’acquisizione di LSC Lithium nel 2019, per circa 85 milioni di dollari. Secondo le ultime statistiche diffuse dallo US Geological Survey, l’Argentina disporrebbe del 10% delle riserve globali, dietro all’Australia, al Cile e alla stessa Cina seppur presentino configurazioni minerarie differenti. Ganfeng Lithium attualmente detiene quote in diversi progetti minerari di litio in tutto il mondo, inclusi i giacimenti rocciosi (lo spodumene, estratto principalmente in Australia), salamoie e argille, contando nel solo 2020 per il 5% dell’output globale di LCE (lithium carbonate equivalent).
L’accordo è soltanto l’ultimo di una serie di acquisizioni strategiche in Argentina, per consolidare il controllo del settore upstream della filiera, ovvero quello legato alle attività estrattive. Ganfeng, infatti, è coinvolto in una joint venture con Lithium Americas nel progetto nel sito di Cauchari e detiene il 100% dello share azionario del progetto di Mariana, nella Salar de Llullaillaco. Lo scorso anno si è inoltre assicurata il 50% dell’interesse in un progetto in Mali.
“La transazione aiuterà [Ganfeng] a rafforzare ulteriormente il panorama delle risorse di litio a monte, accrescere il tasso di auto-sufficienza […] in conformità con l’integrazione della filiera a monte e a valle dell’azienda e con la nuova strategia di sviluppo dei nuovi veicoli energetici” [enfasi aggiunta], ha dichiarato in un comunicato stampa l’azienda, come riportato dal South China Morning Post. Si tratta di dichiarazioni che ben delineano la strategia a lungo termine di Pechino.
L’acquisizione dovrà essere comunque soggetta alle consuete approvazioni dei regolatori, mentre Ganfeng è attualmente indagato dalla China Security Regulatory Commission per sospetto insider trading. Si tratta di un annuncio che segue il crescente interesse degli operatori per lo sviluppo del settore in Argentina che, secondo Bloomberg News, è già il Paese con il maggior numero di progetti in cantiere.
Lithium Americas, società mineraria con sede fiscale a Vancouver, ha completato l’acquisizione ($400 milioni) di Millenial Lithium a gennaio 2022 che gestisce un altro promettente sito a Pastos Grandes. Nel frattempo, a dicembre 2021 la multinazionale del settore minerario, Rio Tinto, ha annunciato di completare le operazioni per rilevare il progetto di estrazione di litio a Rincon, per una cifra intorno ai 825 milioni di dollari. Infine, a febbraio 2022 è stata la volta di Zijin Minin Group, società cinese che ha acquisito la canadese Neo Lithium Corp che operava nel progetto di Tres Quebradas.
Con le attività oltreoceano di Ganfeng e dell’altro colosso del litio, Chengdu Tianqi Industry, Pechino ha di fatto stabilito un saldo controllo della produzione di carbonato di litio per sostenere la crescente domanda interna. Secondo le stime di Benchmark Mineral Intelligence (BMI), il prezzo del materiale è quadruplicato negli ultimi dodici mesi, segnalando un generale mismatch tra domanda e offerta. Seppur vi siano opinioni divergenti sulla tenuta rialzista del litio e di altre materie prime critiche per la transizione ai veicoli elettrici – ricordiamo il balzo storico del nickel, oltre ai rincari di cobalto, grafite e nickel che hanno ridotto le marginalità degli operatori midstream, causando il primo rallentamento nella progressiva riduzione dei costi delle batterie elettriche – in generale ci vorranno anni prima che nuovi attori possano inserirsi, in competizione, nella corsa globale all’oro bianco. Attualmente, solo l’americana Albemarle Corp, la cilena SQM e l’australiana Mineral Resources possono sostenere ritmi di produzione al pari delle rivali cinesi.
Rimanendo in Sud America, anche la Bolivia si candida per un futuro da paese esportatore. Insieme agli altri due paesi sudamericani compone il cosiddetto ‘triangolo del litio’ e conterebbe di significative risorse (un quarto di quelle conosciute a livello globale, USGS), seppur non abbia ancora sviluppato capacità per produrre il minerale in scala. Di recente il governo boliviano ha posticipato la selezione di un partner privato estero che possa lanciare sul mercato la produzione industriale. Tra i sei rimasti in gara, quattro sono cinesi (CATL, Fusion Enertech, TBEA e CITIC Guoan Group), una compagnia russa (Uranium One) e la start-up americana Lilac Solution (appoggiata da BMW e da Breakthrough Energy Ventures).
Resta tuttavia il nodo raffinazione, saldamente in mano a Pechino (59% circa) che trasforma la maggior parte dello spodumene australiano e i concentrati in arrivo dal Sud America al grado di purezza necessario per poter impiegare i composti di litio nell’industria delle batterie. Senza contare il controllo sulle forniture di nickel, cobalto e grafite.
Una delle possibili soluzioni è l’ingresso degli OEMs (come Tesla e i produttori europei) nei mercati più a monte, per assicurarsi le forniture in accordi a lungo termine e con prezzi fissi. Tuttavia, resterà cruciale aumentare le capacità industriali nella trasformazione del minerale: sforzi che in Europa potrebbero essere ostacolati da regolamentazioni ambientali troppo severe.
Tuttavia, in un’ottica di diversificazione e di sicurezza delle forniture è l’Australia che rimane il paese produttore naturalmente incline ad una possibile partnership con i produttori occidentali. Lo dimostra la sua inclusione nella Mineral Security Partnership, lanciata dal Dipartimento di Stato americano a giugno e i dati snocciolati da BMI: entro il 2030, il continente australiano vedrà auspicabilmente raddoppiare il suo output, che già rappresenta circa il 59% delle forniture nell’Indo-Pacifico.