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Il ciclo vitale del M5S è finito. Panarari spiega perché

Il docente e politologo: “Da partito di maggioranza relativa, consustanziale al governo, il Movimento si è trasformato in un elemento di destabilizzazione per l’esecutivo”

Forse in questo momento storico rispondere alla domanda “Cosa rimane dei 5 Stelle?” è particolarmente facile. O quantomeno liti intestine, scissioni e reciproche delegittimazioni portano a una risposta univoca: polvere. La pensa così Massimiliano Panarari, docente, politologo di vaglia particolarmente attento alle mutazioni della supernova grillina.

Ormai la cifra grillina è l’ambiguità? Dopo l’addio del ministro Di Maio, la permanenza al Governo del Movimento è messa in discussione ogni giorno di più.

È chiaro che i maggiorenti del partito vorrebbero uscire dall’esecutivo guidato da Mario Draghi per tentare di recuperare l’elettorato perduto. Conte gioca un ruolo difficile. E i fatti degli ultimi giorni sulle presunte frasi pronunciate dal premier nei suoi riguardi non aiutano.

In sostanza, usciranno o no dal governo?

È una previsione difficile da fare. Ma Conte è in qualche modo costretto ad appoggiare questo governo. È consapevole che se dovesse uscire, il Movimento sarebbe destinato all’irrilevanza.

Potrebbero riacquisire consenso e presentarsi con numeri più alti alle politiche del 2023?

Dubito molto che i grillini possano recuperare consensi. Il trend di caduta, ormai, è irreversibile. Siamo giunti al punto in cui il Movimento ha concluso il suo ciclo vitale. Una parabola che, in tutto, è durata dodici anni.

In tutto questo grande teatro, Grillo che ruolo interpreta? 

Pur mantenendo una certa ambiguità, Grillo è un supporter del premier Draghi. Diciamo che la diarchia con Conte è molto difficile.

Eppure i pentastellati sono nati proprio su una diarchia: Casaleggio-Grillo. 

Sì. l’unica che ha funzionato. Comunque il Movimento, da allora, è profondamente cambiato.

La sua collocazione come forza di governo è ancora credibile? 

Il paradosso è che da partito di maggioranza relativa, consustanziale al governo, il Movimento si è trasformato in un elemento di destabilizzazione per l’esecutivo.

Forse è tempo che anche il Pd di Enrico Letta pensi a un’alternativa per il campo largo? 

Letta ha ottenuto un grande risultato. Ha riposizionato in un ruolo molto centrale il Pd sulla scena politica. Detto questo, è chiaro che il partner non può più essere il Movimento 5 Stelle. Per almeno due ordini di ragioni: la prima è di carattere numerico. L’assottigliamento dei consensi che i grillini stanno vivendo è un elemento che li colloca in una posizione di assoluta debolezza. La seconda ragione è di carattere politico.

Dissidi tra Letta e Conte? 

No, più profondi. I grillini, essendo diventati un elemento ostativo al governo, hanno dimostrato di essere distanti dall’agenda Draghi. Programma che invece il Pd ha sposato appieno.

Si svolta al Centro, dunque, per il campo largo?

Il paradosso è che Azione potrebbe massimizzare i consensi solamente correndo in autonomia e proponendo un progetto puramente centrista. Dunque, potrebbe eventualmente essere un’alleanza post elettorale.

Nella disperazione può tornare a sbocciare l’amore tra Lega e M5S?

L’esperienza al governo assieme ha incrinato i rapporti in maniera irreversibile. In comune, ormai, resta solo la matrice populista.

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