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Mare omnium. Perché la crisi ucraina si gioca nel Mediterraneo

È nel Mediterraneo che si giocherà il destino della guerra in Ucraina e si potrà evitare di mondializzare la crisi di Putin. È nell’intesa Italia-Francia che l’Europa può riscoprire la sua vocazione a Sud. Una mappa dal convegno della Fondazione Med-Or con Minniti, Molinari, Masset e Gressani

Da Mare nostrum a mare di tutti. Prende un abbaglio chi crede che la guerra di Vladimir Putin in Ucraina abbia spostato ad Est la bussola geopolitica europea. È nel Mediterraneo che si gioca la partita decisiva per il destino del Vecchio Continente. Dalla crisi alimentare globale per il grano intrappolato dai russi nei porti sul Mar Nero alle manovre del sultano turco Recep Tayyip Erdogan, mai come oggi il più grande lago salato del mondo si conferma epicentro dello scacchiere internazionale.

Orientarsi nel risiko mediterraneo in tempesta non è impresa semplice. Una mappa è stata tracciata da un convegno della Fondazione Med-Or e dell’ambasciata francese in Italia questo mercoledì. Ospite l’inviato speciale per il Mediterraneo del governo francese Gilles Kepel, islamologo di fama, insieme al direttore di Repubblica Maurizio Molinari, il direttore di Le Grand Continent Gilles Gressani, il presidente della fondazione ed ex ministro dell’Interno Marco Minniti, moderati dalla direttrice della rivista Formiche Flavia Giacobbe.


Il Mediterraneo, ha esordito Molinari, è diventato centrale nella strategia di pressione russa contro l’Occidente. “C’è una grande volontà di Mosca di incalzare la Nato e l’Ue dal fianco Sud in uno spazio diventato strategico non solo per la Russia ma anche per la Cina”. Al centro dello scacchiere ci sono due grandi Paesi europei. Italia e Francia hanno messo da parte quelle che l’ambasciatore Christian Masset definisce “rivalità vere o presunte”.

Sono lontani oggi i tempi dei comizi insieme ai gilet gialli e del tiro alla fune tra Fincantieri e Stx per Saint Nazaire, gli sgambetti a vicenda per piazzare bandierine nella polveriera libica. Hanno lasciato spazio “a un senso condiviso di responsabilità”, spiega il capo della missione a Roma, “al tentativo di coniugare interessi dalla Libia alla Tunisia, dal dialogo con la Turchia al Sahel”.

È anche questa l’“autonomia strategica” che l’Ue targata von der Leyen va rivendicando da anni, suscitando qualche reazione di stizza oltreoceano. Cioè anzitutto occuparsi del proprio vicinato lì dove l’ombrello di sicurezza americano, per mancanza di risorse o volontà politica, non può bastare da solo. È il caso, fra l’altro, della partita energetica che vede l’Europa in cerca di una via di fuga dal gas russo. Dove, dice Molinari, l’Italia “ricopre un ruolo centrale nella creazione di una nuova rete di fonti di approvvigionamento non solo per sé ma per l’intera Ue, e ha nella Francia un interlocutore strategico”.

Messe da parte le vecchie tensioni, è questa dunque la missione chiave del tandem Roma-Parigi, chiamate a prendere le redini della diplomazia europea proiettata a Sud. Un compito non facile perché tanto l’Eliseo quanto Palazzo Chigi si mostrano oggi fragili sotto i colpi di due crisi interne, ricorda Molinari, il primo per una tornata elettorale che ha tolto a Emmanuel Macron una maggioranza in Parlamento, il secondo per il terremoto politico che incombe da Palazzo Madama con lo strappo dei Cinque Stelle e il futuro incerto di Mario Draghi. Per tenere in piedi l’asse d’Oltralpe, riflette Gressani, serve anzitutto rimuovere un ostacolo che da anni pesa sui rapporti bilaterali. E cioè quel “paradosso della prossimità” che sopravvive nell’immaginario pubblico con un’ “asimmetria di percezioni”.

Da una parte la diffidenza tutta italiana verso una Francia percepita dall’opinione pubblica come soverchiatrice e insidiante. “Un complesso di inferiorità – la mette così Gressani – quasi come se, per una convinzione diffusa, italiani e francesi viaggiassero sullo stesso treno, ma su carrozze diverse: i primi in terza classe, gli altri in prima”. Diffidenze da mettere da parte e al più presto, spiega Kepel, di fronte alle turbolenze geopolitiche che attraversano il Mediterraneo e rischiano di compromettere i rispettivi interessi nazionali.

“Questa guerra in Est Europa ha una sua proiezione anche nel Mediterraneo, dove la Russia sta cercando uno spazio per l’espansione politica. Non c’è solo il ricatto del gas contro l’Europa, ma una penetrazione verso Sud che arriva fino in Africa, con la presenza dei mercenari della Wagner in Libia e in Mali, nel Sahel”. A questa sfida si somma il gioco a rialzo di Erdogan, alleato inamovibile della Nato, scaltro mediatore nella guerra in Ucraina, che in fondo, dice Kepel, “sogna di ricreare l’impero ottomano, come dimostra la proiezione di influenza in Africa, dove negli ultimi anni Ankara ha aperto una quarantina di ambasciate”.

Una partita, quella di Erdogan, che ha il cuore in quella trattativa sullo sblocco dei porti ucraini entrata nella fase finale in queste ore. “Se la Russia sbloccherà il corridoio del grano, Putin rinuncerà alla mondializzazione della crisi Ucraina”, dice Minniti, che invita a uno sguardo più ampio alle turbolenze ad Est. “L’incalzare degli eventi rende evidente che il Mediterraneo, se si vuole affrontare la crisi e offrire una prospettiva di pace, sarà il vero protagonista”. O per dirla altrimenti: “Se una partita fondamentale si gioca in Est Europa, la partita strategica si gioca nel Mediterraneo”.

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