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Il ruolo di SuperMario nei prossimi tre mesi. Il mosaico di Fusi

Draghi è stato un elemento di discontinuità nello scenario politico. La sua esperienza si è politicamente conclusa. Il paradosso è che ancora in queste settimane estive e prima dell’apertura dei seggi la capacità e la determinazione di SuperMario servono, eccome, al Paese. La rubrica di Carlo Fusi

Era prevedibile ma fa lo stesso impressione quella sorta di albagia che, ad appena pochi giorni dallo scioglimento delle Camere, spinge i partiti a considerare il governo Draghi come un capitolo del passato remoto, non da ripudiare ma semplicemente da rimuovere.

Stupisce la voglia di seppellire politicamente SuperMario mentre è ancora vivo sia politicamente oltre che istituzionalmente. Il suo governo è, infatti, in carica “per il disbrigo degli affari correnti”, come vuole la formula usata dal Quirinale, e si tratta di affari non così trascurabili: ne è esempio il decreto Aiuti sul quale si stanno concentrando sia gli sforzi del presidente del Consiglio, sia le frecce acuminate sotto forma di emendamenti visto che adesso la fiducia è impossibile, dei partiti che formavano la ex maggioranza. Per non parlare della prossima nota di aggiornamento al Def.

Anche quelli che la fiducia l’hanno votata usano adesso la famigerata “agenda Draghi”, chi come un feticcio strumentalmente utile ai loro disegni, oppure chi alla stregua di un “avrei anche voluto ma non ho potuto”, l’iperbole di una premiership sganciata dai giochi del Palazzo e perciò da archiviare in fretta e senza troppi rimpianti.

Una situazione stordente ma figlia di quella estraneità rappresentata dall’ex presidente della Bce che per un mefitico gioco di specchi ha trasformato nella vulgata giustificatoria l’autorevolezza in distanziamento; la capacità in supponenza; il prestigio in egoismo. Vale la pena ricordare che nel corso del dibattito sull’ultima fiducia c’è stato chi ha perfino accusato Draghi di ricercare “pieni poteri” contro la volontà parlamentare, provocando la risentita (e giustificata) reazione del presidente del Consiglio?

In un simile scenario non può sorprendere, anche se amareggia assai, la riluttanza delle forze politiche a fare i conti ciò che è successo e ha portato al naufragio del governo guidato da un uomo che, detto senza enfasi, l’Europa ci invidia e che aveva fatto recuperare all’Italia un ruolo preciso nello scacchiere geopolitico mondiale.

Acqua passata, appunto. Che tuttavia continua ad inquinare il dibattito politico anche e soprattutto in vista del voto e di quel che succederà dopo. Non c’è dubbio che la caduta di Draghi sia stata provocata non dall’inceneritore di Roma quanto dalle differenziazioni sul delicatissimo crinale della politica estera che oggi è politica di guerra. Nonché di schieramento nei confronti del conflitto Russia-Ucraina. Come pure, in termini di consequenzialità su questo e su altri fronti, è difficile contestare che il capo del governo rappresentava simbolicamente e fattualmente l’argine più netto nei confronti delle torsioni populiste e delle iniezioni di demagogia che da trent’anni affliggono l’Italia.

Guardando neppure tanto in filigrana perché non ce n’è bisogno l’elenco dei partiti che hanno votato la fiducia e di quelli che si sono rifiutati di farlo è impossibile non ritrovare in quest’ultimo schieramento sintonie e convergenze del periodo gialloverde – con l’aggiunta devastante di Silvio Berlusconi – che richiamano a quelle due categorie. Le richieste di scostamento di bilancio e le pensioni a mille euro per tutti ne sono un clamoroso esempio: proposte non a caso arrivate un attimo dopo l’avvio della campagna elettorale.

Quanto a Giorgia Meloni, è vero che coerentemente da tempo chiedeva il voto anticipato e unico partito si è posto all’opposizione delle larghe intese. Ma anche qui non è un caso se un minuto dopo lo sparo dello start per la election race è cominciato il tormentone per chi dovrà andare a Palazzo Chigi in caso di vittoria del centrodestra: indizio di tensioni dove populismo e demagogia si mischiano che è consolatorio immaginare che il vertice in programma oggi potrà fugare.

Del resto anche nel centrosinistra il tema è lo stesso, reso se possibile ancora più urticante dal fatto che si tratta di partiti che sostenevano Draghi e che adesso anelano ad archiviare quella vicenda ma non sanno quale premier indicare.

Insomma Draghi è stato un elemento di discontinuità – si dice così, giusto? – nello scenario politico e chi lo avvicina all’esperienza di Mario Monti fa torto all’uno e all’altro e non tiene conto delle emergenze, dello sfilacciamento e della drammaticità nella quale l’ancora in carica presidente del Consiglio si è trovato ad operare.

A maggior ragione diventano surreali le suggestioni di chi proporne Draghi a Palazzo Chigi anche nella prossima legislatura. Quella di Mario Draghi è un’esperienza che si è politicamente conclusa. Il paradosso è che ancora in queste settimane estive e prima dell’apertura dei seggi la capacità e la determinazione di SuperMario servono, eccome, al Paese. Serve ancora il governo di nessuno e il presidente del Consiglio alieno. Che strana landa che è l’Italia.



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