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Il Medio Oriente di Biden tra disimpegno Usa e ritorno Ue. Gli scenari per Bianco e Dentice

In un live talk di Decode39 due dei principali esperti italiani della regione Mena – Cinzia Bianco, Gulf Research Fellow dell’European council of foreign relations (Ecfr), e Giuseppe Dentice, responsabile del desk Medio Oriente e Nord Africa del Centro studi internazionali (Cesi), coordinati da Emanuele Rossi hanno delineato il futuro dell’area alla luce del viaggio del presidente degli Stati Uniti in Israele e Arabia Saudita

Il viaggio in Medio Oriente del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si è concluso. Le tappe israeliana e saudita dei quattro giorni spesi nella regione dal capo di Stato della prima potenza globale si portano dietro successi immediati, limiti ed evoluzioni a più lungo termine. Di questo hanno discusso oggi in un un live talk di Decode39 due dei principali esperti italiani della regione Mena – Cinzia Bianco, Gulf Research Fellow dell’European council of foreign relations (Ecfr), e Giuseppe Dentice, responsabile del desk Medio Oriente e Nord Africa del Centro Studi Internazionali (CeSi).

La discussione è stata coordinata da Emanuele Rossi, giornalista di Formiche.net, il quale ha ricordato come quello di Gedda sia stato un appuntamento molto importante in quanto “per la prima volta Biden ha potuto incontrare Mohammed Bin Salman, ruler di fatto del regno saudita, e i leader del Consiglio del Golfo insieme a quelli di Iraq, Giordania e Egitto”. La regione riacquisisce quindi a suo avviso “una centralità energetica dopo il conflitto in Ucraina e per una serie di dinamiche che per l’Italia sono importanti in quanto questa regione fa parte del Mediterraneo allargato”. Il viaggio in Arabia Saudita non è stato così semplice ma prima c’è stata una tappa in Israele “che sta acquisendo una sorta di centralità legata ad un disengage degli Stati Uniti nella regione affidando un ruolo allo Stato ebraico per gestire gli affari regionali”. Uno dei risultati è stato questo processo di avvicinamento tra israeliani e sauditi “che è in corso ma con dei distinguo. Un altro degli obiettivi era quello di trovare una soluzione condivisa sul petrolio e il più complicato era quello di cercare di trovare una forma di sganciamento dei paesi del Golfo dalla Cina e in parte dalla Russia”. Rivolgendosi agli ospiti del Live Talk, Rossi ha ricordato che questa regione è molto importante per l’Italia e i rapporti di questa parte del mondo con Cina e Stati Uniti sono dei temi che dovrebbero interessarci come Italia e come Europa.

Per Bianco “è molto importante perché è un tentativo statunitense di interrompere un declino di influenza nella regione iniziato qualche anno fa, in particolare con l’Arabia Saudita che si basa su una relazione decennale considerando il fatto che gli Stati Uniti sono un fornitore di sicurezza rispetto all’Iran e in cambio la collaborazione saudita sui mercati energetici”.

Riad è importante in quanto è l’unico produttore di petrolio che “da solo può impattare il mercato a livello globale come dimostrato nel 2020 allo scoppio della pandemia quando c’è stato un crollo dei prezzi del petrolio legati ai vari lockdown nel mondo ma è stato manipolato dagli Stati Uniti che voleva costringere la Russia a venire a patti con la loro idea di coordinamento della produzione, per controllare e preservare le quote di mercato saudite messe a rischio dalla pandemia”. Questa politica, che sembrava una politica suicida dei sauditi, “ha portato il prezzo del greggio in territorio negativo a meno 40 dollari a barile e poi a costringere i russi a negoziare un accordo di produzione. Ora siamo in una situazione nella quale sono gli americani a chiedere ai sauditi di pensare di nuovo a una strategia di impatto per mettere in difficoltà i russi, per indebolirli nell’unico settore dove stanno riuscendo ancora a guadagnare risorse per la loro campagna in Ucraina. Se non capiamo questo non capiamo perché era importante questo viaggio. Biden quando è stato eletto aveva preso le distanze da Bin Salman invece ora ha cercato di appianare le cose”, ha aggiunto Bianco.

Rispetto alle reazioni interne per questa visita, la ricercatrice dell’Ecfr ricorda come “l’amministrazione Biden si è trovata nella posizione di dover giustificare questo viaggio in Arabia Saudita e di ricompattare le relazioni con l’erede al trono di quel Paese e per questo ha dovuto trovare una serie di ragioni e di obiettivi. Facilitare la normalizzazione delle relazioni con Israele è un obiettivo così come creare una distanza tra sauditi e cinesi, ma tirando fuori tutti questi obiettivi rischia anche di creare molte occasioni di fallimento”. L’amministrazione Usa ha quindi creato aspettative esagerate su questo viaggio a suo avviso. Sui rapporti con Israele invece, si dice convinta che i sauditi “andranno avanti da soli, mentre sulla Cina la situazione è complicata in quanto non è sufficiente il viaggio di Biden e non è chiaro l’impegno che gli americani possano mettere dietro la dichiarazione di voler rimanere in Medio Oriente. In assenza di impegni precisi sarà difficile per i sauditi distanziarsi dai cinesi che sono i loro clienti privilegiati. I sauditi capiscono però che la Cina si sia indebolita per la mala gestione del Covid, così come i russi anche con la guerra in Ucraina, ma per metterli da parte attendono un impegno da parte degli Usa che questi ultimi ancora non vogliono prendere”. È in crescita invece il ruolo europeo nella regione in quanto “da parte dell’Unione europea c’è stata la volontà di lasciare a Biden la palla sulla questione energetica. L’arretramento degli Stati Uniti dalla regione fa si che l’Europa desti maggiore attenzione a quell’area”.

Rispetto invece alla visita di Biden in Israele, Giuseppe Dentice, responsabile del desk Medio Oriente e Nord Africa del Centro Studi Internazionali, mette in evidenza l’enfasi data a questo evento da parte della stampa israeliana. “Per loro il viaggio è stato un successo, così come per la stampa americana la tappa in Israele è stata considerata quella con minori problemi. Difficile dire cosa Biden abbia ottenuto in quanto si è presentato come partner storico, dimostrando che il rapporto è ancora saldo e basando la sua iniziativa sull’anti iranismo, muovendosi in continuità con le amministrazioni precedenti. Ha assicurato di voler proteggere Israele anche dal punto di vista militare che non fanno altro che ribadire l’impegno statunitense su questo campo”.

Gli altri temi invece, come la questione palestinese, “sono stati tenuti in disparte. Biden implicitamente ha tenuto in piedi la linea di Donald Trump che è di sdoppiamento dei temi. L’incontro che si doveva tenere con Abu Mazen non è stato a Ramallah ma a Betlemme, e anche questo ha un suo valore, e non è stato fatto altro che ribadire lo status quo. Se vogliamo trovare un punto positivo non possiamo che far notare l’apertura dei voli tra Tel Aviv e Gedda ma non c’è stato altro che definisca politicamente questo salto di qualità. I sauditi hanno agito non basandosi sugli accordi di Abramo ma sulla dichiarazione di Chicago del 1944 e fa fede alle regole dei voli commerciali aerei ai quali i sauditi vogliono attenersi”.

In questo contesto si inserisce il nostro Paese. “L’Italia c’è sia come attore internazionale che all’interno dell’Ue”, ha aggiunto Dentice per il quale Roma, all’infuori dell’Unione europea, “può agire ma con una forza limitata rispetto ai partner europei che possono coadiuvarla nel raggiungimento di determinati obiettivi. Quando si è affrontato il tema Medio Oriente, spesso la politica che è stata adottata è di tipo securitario. Se noi pensiamo all’Italia come attore globale ha una sua forza, ma una sua incidenza può essere tale solo all’interno di un’azione europea. Ad oggi quello che agisce rimane la Francia che porta avanti una propria politica estera, a volte indipendente rispetto alle linee europee. Per questo l’Italia deve cercare una linea comune con l’Ue in cooperazione con Francia, Germania e Gran Bretagna e cercare di promuovere un interesse legato a questione che non siano solo securitario. Comprendendo che l’Italia è una potenza media e attiva ma non può da sola risolvere i problemi della sponda sud del Mediterraneo”.

Il trend di distensione nella regione “si manterrà ancora per un medio periodo. Questo fino a quando non si sbloccheranno dei dossier internazionali che cambieranno le carte in tavola come quello del nucleare iraniano che è in stallo. Stiamo andando avanti in un processo che vede delle trasformazione nei rapporti intra statali e la normalizzazione con Israele fa parte di questo processo che andrà avanti con i suoi ritmi. Il dossier iraniano e siriano saranno centrali per vedere la conformazione delle dinamiche della regione”.

Infine nella vicina Libia, secondo Dentice “lo stato attuale vede configurarsi una crisi più che altro libica, anche se gli attori internazionali continuano a muoversi. Si tratta di un contesto fluido”.

 



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