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Così i laboratori sono in miniatura (e in orbita)

Di Pietro Peliti

Attraverso la miniaturizzazione delle tecnologie e l’uso dei satelliti di piccole dimensioni come i cubesat, aumenta il numero di esperimenti eseguibili nel particolare ambiente extra-atmosferico. Sperimentazioni che rendono possibile verificare soluzioni all’avanguardia sia nel settore spaziale sia per applicazioni terrestri. Pubblichiamo l’articolo di Pietro Peliti, advanced technology & sensor development manager di Northrop Grumman Italia, apparso sull’ultimo numero di Airpress

Si avvicina ormai la data per il lancio inaugurale del vettore Vega C, il nuovo razzo europeo a corpo unico che decollerà, secondo le previsioni dell’Agenzia spaziale europea, il 7 luglio dalla base spaziale europea di Kourou, nella Guyana francese. Il vettore di nuova generazione, alto circa 35 metri e con una massa al decollo di 210 tonnellate, è progettato per essere in grado di posizionare oltre duemila chili di carico in un’orbita polare di riferimento di
settecento chilometri. Per la missione inaugurale, denominata VV21, insieme al satellite scientifico dell’Agenzia spaziale italiana Lares-2, saranno ospitati anche diversi nanosatelliti di diverse forme e dimensioni.

In questa avventura, Northrop Grumman Italia (Ngi) contribuirà con la missione AstroBio-CubeSat (Abcs), selezionata dall’Agenzia spaziale europea (Esa) per far parte del primo lancio di Vega C. Il progetto è stato un esempio di collaborazione tra diverse realtà dello spazio italiano, dall’industria e le istituzioni fino alla ricerca e all’accademia. Il cubesat è stato finanziato e coordinato dall’Agenzia spaziale italiana in collaborazione con l’osservatorio dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) di Arcetri ed è stato integrato dalla Scuola di ingegneria aerospaziale dell’università La Sapienza di Roma, con quest’ultima che avrà anche il compito di operare il satellite tramite la stazione di terra, ricevendo le telemetrie dalla macchina e gestendo le in flight operation.

Le dimensioni del satellite, denominato Cubesat 3U, sono di appena 10x10x34 centimetri, per una massa di cinque chilogrammi e mezzo, equipaggiato con due payload principali: il primo è un mini-laboratorio capace di svolgere in maniera automatizzata degli esperimenti di analisi biologica tramite una tecnologia lab-on-chip, un sottogruppo dei sistemi micro-elettro-meccanici (Mems), che integra funzioni multiple di analisi in un singolo chip di pochi millimetri quadrati. Il secondo, invece, è nato dalla collaborazione tra la Scuola di ingegneria aerospaziale de La Sapienza, Thales Alenia Space Italia e Northrop Grumman Italia, e ha lo scopo di testare alcune componentistiche elettroniche per uso terrestre nel particolare ambiente spaziale.

Tra questi, in particolare, Ngi effettuerà la sperimentazione degli effetti delle radiazioni sulla sua Enhnaced inertial measurement unit (eIMU) per le misurazioni inerziali di assetto. La eIMU è equipaggiata con diversi sensori inerziali con tecnologia Mems, come giroscopi, accelerometri e inclinometri, ed è stata sviluppata inizialmente dalla società per un ampio numero di applicazioni in ambito terrestre e, soprattutto, avionico. Le eIMU di Ngi forniscono infatti elevate performance nonostante le dimensioni e i pesi estremamente ridotti, diventando quindi uno strumento estremamente interessante per le missioni e la tecnologia del settore nei piccoli satelliti, tra cui in primo luogo i cubesat.

L’esperimento orbitale che avverrà nella missione AstroBio-CubeSat prevede in realtà l’utilizzo di una coppia di eIMU, una installata all’interno di uno scudo di protezione che la riparerà dalle radiazioni, appositamente progettato da Thales Alenia Space Italia per il programma, e l’altra invece lasciata senza ulteriori protezioni all’interno del satellite. Attraverso il monitoraggio dei dati che arriveranno dalle due unità per le misurazioni inerziali si riusciranno a ottenere dati preziosi sulla capacità dei due strumenti di resistere alle radiazioni dello spazio esterno, oltre che fornire importanti informazioni sulla capacità e l’efficacia dello scudo protettivo.

Infatti, l’elemento importante della missione, è che l’orbita in cui il cubesat verrà rilasciato dal Vega C, a poco meno di seimila chilometri di altitudine, transiterà per buona parte all’interno delle fasce di Van Allen, una delle regioni extra-atmosferiche più sfidanti. In questa zona, che si trova all’interno della magnetosfera terrestre, si accumulano delle particelle in genere trasportate dal vento solare e trattenute dal campo magnetico terrestre. Quando queste particelle urtano tra loro, perdono energia sotto forma di radiazioni, che possono arrivare a livelli anche mille volte superiori a quelli previsti nelle classiche missioni dei piccoli satelliti nell’orbita bassa terrestre. Nel suo insieme, dunque, la missione consentirà di testare i diversi sensori in un ambiente estremamente critico, e riuscirà a raccogliere preziose informazioni sia per l’uso degli eIMU nello spazio, sia per le tecnologie di protezione dalle radiazioni che potranno risultare utilissime oltre che per la tecnologia satellitare, anche per proteggere strumentazioni e astronauti nelle prossime missioni spaziali di lungo periodo, come quelle previste per la Luna e Marte.

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