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Caro Letta, sul nucleare appoggia Calenda. Scrive Minopoli

Tra mozioni presentate, pronunciamenti delle forze politiche e di personalità rappresentative di esse, si va delineando, in questo Parlamento, uno schieramento favorevole alla ripresa del nucleare. Tendenzialmente maggioritario. L’intervento del presidente dell’Associazione Italiana Nucleare e autore di “Nucleare. Ritorno al futuro. L’energia a cui l’Italia non può rinunciare” (Guerini e Associati)

Azione di Carlo Calenda ha presentato una mozione parlamentare per “inserire il nucleare nel mix energetico italiano”. Altre forze politiche della maggioranza avevano preso iniziative analoghe. Azione, però, si spinge molto avanti: porta numeri e ragionamenti a sostegno. E avanza ipotesi ragionevoli, realistiche e di buonsenso.

Sarà interessante capire gli argomenti che si penserà di opporre a quelli di Azione. Intanto un calcolo interessante: tra mozioni presentate, pronunciamenti delle forze politiche e di personalità rappresentative di esse, si va delineando, in questo Parlamento, uno schieramento favorevole alla ripresa del nucleare, tendenzialmente, maggioritario. Qualcuno ci avrebbe scommesso fino a non molto tempo fa? Molti, pur non ostili al nucleare energetico, si spingevano, al massimo, a preconizzare il nucleare di un lontanissimo futuro (la quarta generazione, la fusione nucleare, quello di un’indistinta ricerca ecc.), sganciato dalle emergenze attuali del sistema energetico.

“Non c’è il tempo, si sosteneva, per immaginare un contributo del nucleare, alla soluzione dei problemi di breve e medio termine del sistema energetico italiano”. Certo, era lecito pensarla così sino alla fine del 2020, quando l’unica tappa decisiva sembrava fosse il 2050, il net zero e il raggiungimento della neutralità carbonica. Al tempo, il ricorso al nucleare, in Europa e nel mondo, sembrava un’opzione realistica per una transizione energetica che appariva troppo hard, costosa ed esposta al fallimento se affidata, esclusivamente, alle sole fonti rinnovabili. Per cui una ripresa generale, in Europa, della discussione sul contributo dell’energia nucleare alla decarbonizzazione.

Gli ostili al nucleare, diciamo fino fine del 2020, sembravano consolarsi con una convinzione: certo che del nucleare che già c’è (il 10% ,in circa 33 paesi, della produzione elettrica mondiale) non si potrà fare a meno, come pensare di de-carbonizzare al 2030 e al 2050 senza il contributo di quell’elettricità non carbonica che già c’è? Ma, appunto, il nucleare si pensava di ridurlo ad un residuo: una fonte per chi ce lo ha già. Questa narrazione è franata nel 2021/2022 con due eventi che hanno rappresentato un turning point nelle strategie energetiche: la crisi dei prezzi del gas nell’agosto del 2021: la guerra russa nel febbraio del 2022.

Hanno rappresentato la tempesta perfetta. Che ha rivoluzionato le discussioni sulla sicurezza energetica e, anche, complicato ancor più le prospettive della de-carbonizzazione e del net-zero. Ripresa dell’inflazione e spinte recessive, dall’agosto 2021, hanno accelerato e drammatizzato la condizione di dipendenza del ciclo economico, anzitutto europeo, dalla domanda di gas e petrolio. La guerra ucraina ha scoperchiato le conseguenze nefaste del cappio rappresentato dalle importazioni di gas russo sulle economie europee. L’Europa si è scoperta stretta nel più classico dei dilemmi, quello del prigioniero: le strategie individuali dominanti dei singoli (stati) determinano un equilibrio inefficiente. È apparso evidente che del gas russo, che pesa sull’economia europea per il 40%, occorresse liberarsi, ma “per sempre”, come ha tenuto a sottolineare il presidente Draghi. L’Europa, e più di tutti Italia e Germania che, dall’importazione di gas siberiano, dipendono più di tutti. Insomma, rispetto alle pacifiche discussioni sulla de-carbonizzazione, prima della crisi dei prezzi e della guerra, la transizione energetica ha assunto il carattere di una crisi energetica inedita, la più grave del secolo e con una urgenza sconosciuta: il cambiamento del mix energetico, non in un lontano futuro, ma nel prossimo quindicennio.

Questa urgenza vale doppiamente per l’Italia. Il nostro mix energetico, per liberarsi del gas russo e per realizzare i targets climatici deve iniziare, da subito, una progressiva sostituzione di gas con elettricità negli usi finali di energia. La mozione di Calenda indica in circa il 160% l’aumento ipotizzabile di energia elettrica sul totale dei consumi finali. L’elettrificazione sarà il grande driver dei consumi energetici dei prossimi anni: da quelli legati alla digitalizzazione, ai trasporti, al riscaldamento, alla produzione di idrogeno, alla ricarica di batterie e sistemi di accumulo e, per finire , alle emergenze ambientali (siccità, acqua, irrigazione ecc.).

Sostituendo il gas, con cui noi facciamo tantissima energia elettrica, con che cosa produrremo questa elettricità? È noto che dovremo produrla con fonti non emissive di CO2 (solare, eolico, idroelettrico, geotermia, biomasse…nucleare). Idroelettrico e geotermia (e biomasse) potranno avere una penetrazione, purtroppo, non molto maggiore del contributo attuale, per ragioni di disponibilità aggiuntiva effettiva. È immaginabile, come qualcuno azzarda, che tutta l’elettricità aggiuntiva di cui avremo bisogno possa essere fornita dalle sole fonti rinnovabili, solari ed eoliche, intermittenti e non programmabili? La mozione di Azione ricorda che, per questo risultato, occorrerebbe immaginare, nel 2050, un aumento dei terawattora generati da rinnovabili del 470%, ad un tasso annuo di aumento, costante per 28 anni, di decine e decine di GW, in un paese in cui riusciamo ad oggi ad installare 1 o 2 GW eolico o solare in alcuni anni. Non è vero che la velocizzazione delle procedure autorizzative risolverà i limiti “strutturali” e fisici delle rinnovabili. Due su tutti: la disponibilità di suoli; l’incidenza del prezzo e della disponibilità di materie prime. Affidare alle sole rinnovabili la totalità del contributo alla crescita dei fabbisogni elettrici è un rischio strategico. Esattamente uguale, se non peggiore, a quello compiuto alla metà degli anni ’80, quando (anche cancellando dal nostro mix la presenza del nucleare) affidammo completamente agli idrocarburi da importazione la conformazione del nostro mix energetico ed elettrico, soprattutto.

È saggio, dunque, immaginare un mix elettrico bilanciato, al 2050, di più fonti di generazione elettrica non emissive di CO2: intermittenti e continuative. La mozione di Azione indica un bilanciamento in cui, accanto a fonti rinnovabili che crescono, prepotentemente, di ben il 1250% (rispetto al 2021) figurano 40 GW di potenza nucleare ( più o meno 7/8 centrali di larga taglia). Si va delineando in Parlamento, uno schieramento tendenzialmente maggioritario a favore della reintroduzione del nucleare in Italia, Stando alle mozioni presentate e alle prese di pozione, già oggi Azione, la Lega, Forza Italia, Italia Viva, Noi per l’Italia e, dall’opposizione, Fratelli d’Italia si sono espresse in vario modo per la ripresa del nucleare. Scontata l’opposizione di Leu e 5 Stelle, resta l’incognita del PD. Che, ufficialmente, non si è mai discostato dalle posizioni sostenute nel referendum del 2011. Anzi, in aperto contrasto con la linea europeista di questi anni, il segretario Letta si è espresso, pubblicamente, contro l’inserimento del nucleare (e del gas) nella Tassonomia Europea, proposto dalla Commissione Europea al Parlamento di Strasburgo nel gennaio 2021.

Letta sottovaluta il significato della scelta della Commissione. La Tassonomia indica i progetti e gli investimenti in energia che, con la definizione di “sostenibili”, devono essere incentivati e supportati nella strategia del Green Deal europea al 2030 (FIT 55) e 2050 (Net Zero). È evidente che la proposta della Commissione nasce (oltre che da un faticoso compromesso politico tra gli Stati) dalla consapevolezza che una de-carbonizzazione affidata alle sole fonti rinnovabili è irrealistica e assai più costosa, socialmente ed economicamente. La realtà, nel 2022, si è incaricata di mostrarlo ancor più plasticamente con la crisi dei prezzi del gas e , poi, con la guerra ucraina. Gli investimenti nel gas, indicati nella Tassonomia, si sono dovuti riprendere giocoforza imposti dalla necessità della sostituzione del gas russo. Ma anche nel nucleare, dopo l’invasione russa e i risvolti energetici che ha comportato, sono venute conferme inequivocabili alla scelta della Tassonomia. Nel Repower EU, la risposta europea all’emergenza del gas, una abbondante quota di generazione elettrica da nucleare è indicata nelle misure di emergenza, in risposta al calo delle importazioni di gas siberiano.

L’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) ha invitato i Paesi che prevedono chiusure (per fine attività) di centrali nucleari a sospendere e rinviare la decisione (un invito che ha un solo indirizzo, il governo tedesco). Il Belgio, in nome dell’emergenza del gas russo, ha annunciato la decisione di posporre di dieci anni la sua decisione di uscita dal nucleare. L’Olanda con la stessa motivazione ha deciso di accelerare i suoi programmi per una seconda centrale nucleare. La Finlandia grazie al suo vasto programma nucleare, ha annunciato la scelta unilaterale di rinuncia al gas russo. Tutti i Paesi che hanno installazioni nucleari, a partire da Francia e Svezia, hanno confermato i loro programmi. Insomma, confermando la scelta della Tassonomia, gli Stati europei che hanno centrali nucleari (11 su 26 Paesi) hanno confermato la scelta nucleare attraverso due strade: la costruzione di centrali nuove (6 in Europa sulle 54 in costruzione nel mondo); il prolungamento della vita operativa (long term extension) di molte centrali a fine vita da progetto.

La verità è che la guerra russa ha fatto emergere una drammatica emergenza: quella della generazione elettrica del continente. È apparso evidente che una buona parte degli usi finali dell’energia dovranno passare, in risposta all’emergenza energetica, dal gas e dai combustibili fossili all’elettricità: la dotazione europea di centrali nucleari si presenta come una indispensabile risorsa continentale nell’emergenza e nella crisi. Sono tutte conferme della preveggenza della scelta della Tassonomia, da parte della Commissione Europea. Come potrebbe il Pd, in questo quadro reiterare il no del suo segretario alle scelte della Commissione? Per tutti questi motivi, i Democratici farebbero bene a mostrare coraggio, a sganciarsi dalle vecchiezze e pregiudiziali antinucleari dell’estrema sinistra , dei populisti e di certo ambientalismo ideologico. E ad unirsi a quella parte del Parlamento che chiede un approccio laico, di verifica e pragmatico su una scelta indispensabile e non rinviabile: il ritorno dell’Italia, uscendo dalla solitudine, all’energia nucleare.


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