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Nuovo codice della crisi, ai posteri l’ardua sentenza. La versione dell’avv. Chimenti

Entrerà in vigore nella sua interezza il 15 luglio il Codice della crisi e dell’insolvenza, al termine di un percorso alquanto accidentato che ne ha imposto più volte la rimanipolazione e il differimento a causa, essenzialmente, dello scoppio della crisi pandemica. Ecco cosa prevede nell’intervento di Stanislao Chimenti, partner dello studio internazionale Delfino Willkie Farr&Gallagher

Il Codice della crisi e dell’insolvenza è finalmente prossimo a entrare in vigore nella sua interezza il 15 luglio 2022, al termine di un percorso alquanto accidentato che ne ha imposto più volte la rimanipolazione e il differimento a causa, essenzialmente, dello scoppio della crisi pandemica.

In particolare, occorreva scongiurare il rischio di promulgare un testo legislativo che, a causa dei mutamenti impetuosi dovuti all’emergenza, già alla nascita non fosse più coerente con le nuove esigenze economico-sociali del Paese e del suo tessuto imprenditoriale. Questo intento può dirsi almeno in parte conseguito.

Difatti, il legislatore ha integralmente abrogato le misure di allerta e i nuovi strumenti per l’emersione tempestiva della crisi previsti nella versione originaria del Codice (Titolo II). Si tratta di una scelta che va condivisa, giacché quegli strumenti prevedevano automatismi molto stringenti che erano stati pensati per una realtà economica del tutto diversa rispetto a quella odierna, già a dir poco prostrata da due anni di pandemia – tuttora in corso – e oggi chiamata a fronteggiare anche una crisi energetica dovuta essenzialmente al conflitto in Ucraina, nonché il riemergere di un andamento inflazionario che non si registrava più da decenni nel nostro Paese.

Se fossero entrati in vigore così come inizialmente pensati, quegli strumenti avrebbero finito per rappresentare l’innesco di fenomeni di crisi sistemica ancor più grave di quella, già estremamente seria, che si va profilando. Basti pensare che, secondo l’analisi aggiornata dell’Osservatorio rischio imprese di Cerved, tra il 2021 e il 2022 le società a rischio di default sono cresciute quasi del 2%, passando dal 14,4% al 16,1% e raggiungendo le 99.000 unità (+11.000), con 11 miliardi di euro in più di debiti finanziari ora pari a 107 miliardi (10,7% del totale). Se poi si considerano anche le società cosiddette vulnerabili, che nel triennio 2019-2022 sono passate dal 29,3% (181.000) al 32,6% (201.000), i debiti finanziari crescono di altri 195,8 miliardi di euro (+28 miliardi), pari al 19,5% del totale. Ed è facile immaginare quali siano i possibili impatti sul mondo del lavoro.

Il focus del legislatore, dunque, si è soffermato sul rafforzamento degli strumenti di composizione stragiudiziale della crisi, confermando l’impianto degli istituti già esistenti – concordato preventivo e accordi di ristrutturazione – , introducendovi significative modificazioni ma, soprattutto, prevedendo nuove fattispecie. Tra esse va menzionato il nuovo istituto della composizione negoziata, introdotto dal decreto-legge 118/20214 e i nuovi gli obblighi di segnalazione posti in capo ai creditori pubblici qualificati, introdotti in sede di conversione del decreto-legge 6 novembre 2021, n. 152.

La composizione negoziata si configura come un percorso volontario, riservato e stragiudiziale, con cui l’imprenditore – al ricorre di determinati presupposti – può chiedere la nomina di un professionista nelle ristrutturazioni che lo supporti nelle trattative con i creditori e lo assista nell’individuazione delle soluzioni per il superamento della crisi. Le trattative possono concludersi con: i) la cessazione/chiusura, nel caso emerga l’impossibilità di conseguire il risanamento; ii) il raggiungimento di un accordo di natura stragiudiziale; iii) il ricorso a uno degli strumenti per la ristrutturazione o per la liquidazione previsti dal nuovo codice; iv) l’accesso al nuovo istituto del concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio.

È importante sottolineare la componente di volontarietà dello strumento. In concreto, tanto vuol dire che, nella società, la scelta se ricorrervi o meno è rimessa all’organo amministrativo. Nella dialettica tra organi societari, poi, l’organo di controllo – ad esempio il collegio sindacale – è obbligato a segnalare agli amministratori i casi in cui la società possa ricorrere allo strumento e ha altresì il potere di invitarli a riferire circa le iniziative intraprese e/o da intraprendere.

Ciò che appare meritevole di attenzione è che, diversamente da quanto previsto dalla versione originaria del Codice, la mancata o inadeguata risposta dell’organo amministrativo non comporta l’attivazione di alcun procedimento esterno all’impresa. In particolare, l’eventuale inerzia degli amministratori non implica alcuna segnalazione al pubblico ministero. Si tratta di un’opzione legislativa che indubbiamente va nella direzione di conservare il più possibile spazi di autonomia privata all’imprenditore, evitando che l’intervento pubblicistico, di matrice penalistica, subentri in una fase troppo anticipata di emersione della crisi.

Per altro verso, appare evidente l’intento di non scoraggiare processi di revisione aziendale che, nel vigore delle precedenti norme e della versione originaria del Codice, avrebbero nella pratica costretto l’imprenditore ad “autodenunciarsi”, condotta questa che l’esperienza mostra essere evidentemente alquanto rara e che, in ogni caso, il legislatore bensì impone, ma solo quando la crisi sia sfociata nell’insolvenza vera e propria la quale, come noto, si qualifica per l’attributo dell’irreversibilità.

Agli obblighi di segnalazione dell’organo di controllo della società, si affiancano i nuovi obblighi di segnalazione dei creditori pubblici qualificati, anch’essi delineati come obblighi di natura informativa, diretti ad attivare un meccanismo di monitoraggio esclusivamente interno all’impresa, funzionale ad incentivare l’imprenditore a valutare la portata della propria esposizione debitoria verso i creditori pubblici e se essa possa determinare, anche in concomitanza con altri fattori, la condizione di squilibrio economico, patrimoniale o finanziario che consente di richiedere la nomina dell’esperto e di avviare il tentativo di ristrutturazione negoziale. Anche in questo caso si tratta di obblighi profondamente diversi da quelli previsti nella precedente versione del Codice, ove la procedura attivata innanzi all’OCRI, sfociava nella segnalazione obbligatoria al pubblico ministero in caso di esito negativo.

Si tratta di scelte politiche alquanto marcate e di fiducia verso meccanismi di autocorrezione, che, almeno in linea teorica, appaiono più coerenti con la situazione attuale, rispetto a meccanismi più rigidi e di carattere punitivo/repressivo. Ovviamente sarà l’applicazione giurisprudenziale concreta, come sempre, a fornire le prime risposte circa l’efficienza e l’efficacia di questa, come di altre riforme legislative.


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