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Il papa della fratellanza indica il genocidio rimosso e chiede riconciliazione

Il genocidio dei popoli indigeni in Canada e le sue possibili dimissioni spiccano tra i temi affrontati sul volo che ha ricondotto a Roma Bergoglio

Sul volo che lo ha ricondotto a Roma Francesco ha parlato di diversi argomenti. Il genocidio dei popoli indigeni in Canada e le sue possibili dimissioni spiccano tra gli altri. Anche gli altri temi affrontati hanno rilievo, ma questi due, a mio avviso, sono  i più importanti. Sul primo Francesco ha messo in chiaro che lui in carrozzella ha attraversato il mondo per mettersi in testa il copricapo dei popoli indigeni tra di loro, tra gli indigeni, per dire così che è sconfessata l’epoca che ha fatto coincidere cristianesimo e superiorità razziale. Questo punto decisivo da tempo, già quando era arcivescovo di Buenos Aires e poi da papa quando ha voluto il sinodo sull’Amazzonia, più che dire chi ha ragione vuole dire cosa è sempre sbagliato. È la riconciliazione la chiave di volta per Francesco. Che poi possa dimettersi appartiene alla normalità della vita, una scelta che quando riterrà, se a suo avviso Dio lo riterrà, farà. Ma l’ordine politico, culturale, religioso, etico non può anteporre una circostanza a un evento storico per tutti i popoli indigeni e per tutti i cattolici, forse tutti i cristiani, almeno si può sperare.

Il viaggio di Francesco in Canada, dove ha espresso indignazione per la complicità di istituzioni cattoliche con le politiche assimilazioniste, non ha avuto l’eco che avrebbe dovuto avere. Tutto sommato si trattava di stabilire un rapporto nuovo con i popoli indigeni, le First Nations, o Prime Nazioni, vittime di politiche che non allocando risorse sanitarie, ad esempio, hanno portato la mortalità infantile tra di loro, ad esempio, a livelli 19 volte più alti che altrove. Questi bambini sono stati vittime anche di abusi sessuali nelle scuole cristiane, cattoliche e protestanti, alle quali i governi del Canada chiedevano di ovviare alla carenza di fondi con il lavoro.

Ora, sul volo di ritorno, Francesco ha detto di convenire con la giornalista canadese che glielo ha chiesto: “Sì, è stato un genocidio”. È arrivato a questa parola, e ciò che implica, partendo da qui: “Le colonizzazioni ideologiche di oggi hanno lo stesso schema: chi non entra nel loro cammino, nella loro via, è (considerato) inferiore. Ma voglio andare più avanti su questo. (Gli indigeni) non erano considerati solo inferiori. Qualche teologo un po’ pazzo si domandava se avevano l’anima. Quando Giovanni Paolo II è andato in Africa alla porta dove venivano imbarcati gli schiavi, ha dato un segnale perché noi arrivassimo a capire il dramma, il dramma criminale. Quella gente era buttata nella nave in condizioni disastrose. E poi erano schiavi in America. È vero che c’erano voci che parlavano chiaro come Bartolomeo de Las Casas e Pedro Claver, ma erano la minoranza. La coscienza della uguaglianza umana è arrivata lentamente. Dico la coscienza perché nell’inconscio ancora c’è qualcosa… Sempre abbiamo come un atteggiamento colonialista di ridurre la loro cultura alla nostra. È una cosa che ci viene dal modo di vivere sviluppato nostro, che delle volte perdiamo dei valori che loro hanno. Per esempio i popoli indigeni hanno un grande valore che è quello dell’armonia con il creato”.

Francesco non è andato oltre, ma sono i meccanismi culturali che partono dall’individualismo e quindi dall’iper liberismo quelli cui qui è parso riferirsi. Il dominio dell’uomo sull’uomo. Il discorso di Francesco è entrato nei meccanismi profondi del mondo attuale: “Vivere bene è custodire l’armonia. E questo per me è il grande valore dei popoli originari: l’armonia. Noi siamo abituati a ridurre tutto alla testa. Invece – sto parlando in genere – la personalità dei popoli originari è che sanno esprimersi in tre linguaggi: con la testa con il cuore e con le mani. Ma tutti insieme. E sanno avere questo linguaggio con il creato. Poi c’è questo progresso accelerato dello sviluppo, esagerato, nevrotico che noi abbiamo… Non parlo contro lo sviluppo, che è buono. Non è buona quella ansietà che noi abbiamo: sviluppo, sviluppo, sviluppo… Guarda: una delle cose che la nostra società ha perso è la capacità della poesia”.

Il papa ha voluto questo viaggio nonostante le sue difficoltà deambulatorie. Ha raggiunto i luoghi dei popoli indigeni in carrozzella. In questo si vede un valore sottovalutato, perché altre viaggi sono stati cancellati. Questo no. E’ l’ansia della riconciliazione che ha mosso Francesco. E quindi delle colpe. La sua idea, espressa benissimo dal direttore dell’Osservatore Romano, Andrea Monda, è che nessuno di noi viene al mondo da solo, ma all’interno di una cultura quella familiare, che è chiamato a preservare, tutelare e innovare, nel farsi della storia. Ecco allora che “incontro” e “riconciliazione” diventano parole decisive. La richieste di perdono per gli errori e gli orrori del passato puntano alla riconciliazione. I viaggi apostolici dunque non sono una “circostanza”, sono uno strumento di governo. E un papa che abbia difficoltà a viaggiare ha un problema a portare avanti la sua missione.

“Non so, non credo che possa andare con lo stesso ritmo dei viaggi di prima. Credo che alla mia età e con questa limitazione devo risparmiare un po’ per poter servire la Chiesa. Poi, al contrario, posso pensare la possibilità di farmi da parte, questa, con tutta onestà, non è una catastrofe, si può cambiare Papa, si può cambiare, non c’è problema. Ma credo che devo limitarmi un po’ con questi sforzi. L’intervento chirurgico al ginocchio non va, nel mio caso. I tecnici dicono di sì, ma c’è tutto il problema dell’anestesia, io ho subito dieci mesi fa più di sei ore di anestesia e ancora ci sono le tracce. Non si gioca, non si scherza con l’anestesia. È per questo che si pensa che non sia del tutto conveniente. Io cercherò di continuare a fare dei viaggi ed essere vicino alla gente perché credo che è un modo di servire: la vicinanza. Ma più di questo non mi viene da dire, speriamo…”

Spiegando il suo approccio al tema “dimissioni” Francesco ha detto che non esiste una spiritualità papale, ogni papa esercita il suo servizio con la sua spiritualità. E lui ha la spiritualità dei gesuiti; “Il gesuita cerca – cerca, non lo fa sempre, ma cerca – di fare la volontà del Signore. Anche il Papa gesuita deve fare lo stesso. Quando il Signore parla…, se il Signore ti dice vai avanti, tu vai avanti, se il Signore ti dice vai all’angolo, te ne vai all’angolo. È il Signore che…”

A questo punto è stato interrotto: “Quello che dice, vuol dire che si aspetta la morte a quel punto…”

E Francesco: “Ma tutti noi aspettiamo la morte…”

Chi faceva le domande ha insistito:  “Voglio dire: non si ritira prima?”

A questo punto Francesco è stato più diretto: “Quello che il Signore dica. Il Signore può dire dimettiti. È il Signore che comanda. Una cosa di sant’Ignazio, questa è importante. Sant’Ignazio quando uno era stanco, malato, lo dispensava dalla preghiera, ma mai dispensava dall’esame di coscienza. Due volte al giorno: guardare cosa è successo oggi nel mio cuore. Non peccati o non peccati, ma quale spirito mi ha mosso oggi. La nostra vocazione è cercare cosa è successo oggi. Se io – questa è una ipotesi – vedo che il Signore mi dice qualcosa, che mi è successo qualcosa, che ho una ispirazione, devo fare un discernimento per vedere cosa chiede il Signore. Può darsi anche che il Signore mi voglia mandare all’angolo, è Lui che comanda. Questo è il modo religioso di vivere di un gesuita, stare nel discernimento spirituale per prendere delle decisioni, per scegliere una via di lavoro, di impegno pure… Il discernimento è la chiave nella vocazione del gesuita. Questo è importante. Sant’Ignazio in questo era molto fine perché è stata la sua propria esperienza del discernimento spirituale che l’ha portato alla conversione. E gli esercizi spirituali sono davvero una scuola di discernimento. Così il gesuita deve essere per vocazione un uomo del discernimento: discernere le situazioni, discernere la propria coscienza, discernere le decisioni da prendere. Per questo deve essere aperto a qualsiasi cosa il Signore gli chieda: questa è un po’ la nostra spiritualità”.

Il tempo passa per tutti, anche per Jorge Mario Bergoglio, e Francesco lo sa. Ma intanto a me sembra che sappia usare il suo per fare quello che serve al nostro mondo, ormai in piena emergenza ambientale e comunicativa. Riconoscere l’ambiente e riconoscere le altre culture come diverse e parimenti importanti è il compito che sta assolvendo, perché i profeti non sono quelli che sanno prevedere il futuro, ma quelli che sanno capire il presente. Francesco a me sembra il solo leader globale che vive immerso nella comprensione delle sfide che fronteggiamo da anni, spesso inconsapevoli.



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