Non credo che esista già un piano di viaggio del papa a Kiev, ma ritengo che in lui cresca un’urgenza, e che monsignor Gallagher questa urgenza abbia espresso. La riflessione di Riccardo Cristiano
Evitare che il mondo si strappi. È probabilmente questa l’urgenza che ha spinto il Segretario per i rapporti con gli Stati del Vaticano, monsignor Richard Gallagher, ad affermare che non sarebbe sorpreso se Francesco andasse a Kiev in agosto.
Ha pronunciato queste parole nelle stesse ore in cui giungeva in Vaticano il ministro degli esteri iraniano, che sta organizzando a Teheran l’incontro trilaterale tra il suo presidente, Raisi, il presidente russo, Putin e quello turco, Erdogan.
Una evidente risposta, chissà quanto di sostanza, al viaggio mediorientale del presidente statunitense Biden. Le stravaganti formule scelte dal diplomatico iraniano per indicare una larga convergenza tra Iran e Vaticano contano poco, piuttosto sarebbe significativo ricordare che è stato ricevuto dal Segretario di Stato mentre il suo predecessore fu ricevuto in udienza da Francesco. Ma i suoi toni un po’ enfatici (tipo piena convergenza, pieno accordo) non possono né devono ridurre il valore della sua presenza nei sacri palazzi proprio in queste ore. Perché il capirsi non sta nel capirsi con chi già è d’accordo con noi. Evitare che il mondo si strappi richiede di più, una maggiore determinazione, non una semplice consolazione della propria certezza.
E la diplomazia vaticana oggi pensa a evitare che il mondo si strappi. Se Teheran fa sapere che sta considerando il suo ingresso nei Brics, il rischio di polarizzazione della crisi ormai mondiale potrebbe crescere ulteriormente. L’inventore di questa fortunata sigla, Jim O’Neil, poi scrisse che questa formula potrebbe ridursi alla sola lettera “C”, che sta per Cina. È così? E se così fosse si pensa a fare dell’Europa una testa di ponte atlantica contro i Brics-Cina?
Le parole di monsignor Gallagher indicano che per Francesco deve esserci un’urgenza legata a ciò che potrebbe fare recandosi a Kiev. E di cosa potrebbe trattarsi? Di qualcosa di eclatante? O di qualcosa di profondo? Se il mondo si strappasse, ciò avverrebbe certamente nei luoghi cerniera del mondo, dove le parti, le civiltà, le culture, si incontrano, si intersecano. E l’Ucraina è certamente uno di questi luoghi, se non “il” luogo.
Francesco non ha fatto mistero di ritenere preferibile una visita a Kiev dopo quella a Mosca, per riprodurre anche visivamente l’idea di una ricerca: cucire. Se non si potesse fare, il papa allora potrebbe assumere su di sé il peso di andare a dire agli ucraini: voi siete oggi la cerniera del mondo, nessuno può trascurarvi ma solo il Vaticano si prende cura di darvi un futuro.
Accusato ingiustamente di essere lontano da Kiev per rappresentazioni faziose e forzate dei suoi pronunciamenti, Francesco potrebbe percepire che questa incomprensione in chi la provasse potrebbe curarla solo la conferma di una profonda vicinanza. Per lui una vicinanza cristiana. Ma c’è un cristianesimo lacerato in Ucraina e questa è una ferita enorme per la pace. Un cristianesimo che vede ortodossi dire cose terribili di altri ortodossi. Forse il filo da cercarsi, in vista del possibile suo incontro in Kazakhistan con il patriarca russo Kirill, è questo.
Ridurre il solco invalicabile che divide Mosca e Kiev può partire da qui, forse. Illusioni? Non può non colpire che il capo della Chiesa greco-cattolica abbia diffuso in queste ore un messaggio fortissimo agli ucraini, che ruota intorno alla necessità di avere coraggio, non odio: “Anche oggi ci incamminiamo lungo le strade della sapienza cristiana, di questa scienza spirituale del vincere. Oggi vorrei riflettere con voi su un’altra passione, un altro vizio che adesso diventa un grande pericolo per il popolo ucraino, per gli ucraini, soprattutto ai tempi di guerra. Questo pericolo, questo vizio si chiama l’ira. Mentre la virtù opposta all’ira con la quale si può sconfiggere il demone che imprigiona le nostre anime e i cuori, è la virtù di longanimità. In questi giorni sono arrivate molte domande su come superare l’odio verso il nemico che ci uccide, su come fare a non adirarsi quando vediamo commettere i crimini sulla nostra terra. Ma l’ira, di cui oggi parliamo, non è solo un sentimento come reazione naturale della non accettazione del male che vediamo. L’ira come passione non è solo la sensazione di rabbia, è lo stato della persona che difende in modo aggressivo la propria esistenza ma senza sperare in Dio e con il danno per il prossimo”.
Abituati a ragionare come Stalin, al suo celebre “di quante divisioni dispone il papa”, consideriamo poco che ogni uomo può capire che dopo l’ira gli serve una luce. Questo Stalin non lo considerava. Dunque io non credo che esista già un piano di viaggio del papa, ma che in lui cresca un’urgenza, e che monsignor Gallagher questa urgenza abbia espresso.