Dall’accusa di crisi pilotata dall’estero all’interesse nazionale, fino alla minaccia russa e alla difesa dell’Ucraina. Se la coalizione Meloni-Salvini-Berlusconi andrà al governo riuscirà a trovare un fronte comune? Lo abbiamo chiesto a Valentino Valentini, responsabile del dipartimento Affari Esteri di Forza Italia
Il centrodestra ritiene di essere pronto a governare l’Italia. Niente spaccature interne o divergenze programmatiche. Anche in politica estera gli alleati della coalizione puntano a una linea comune: sostegno incondizionato alla difesa dell’Ucraina, fedeltà alle istituzioni atlantiche e ai valori europei (senza peccare di subalternità), superamento della “globalizzazione felix” e ripristino del primato dell’interesse nazionale. Conversazione di Formiche.net con Valentino Valentini, responsabile del dipartimento Affari Esteri di Forza Italia.
Di Maio sostiene che la crisi è stata voluta da due forze politiche che strizzano l’occhio a Putin. Quali le conseguenze della crisi di governo sul piano internazionale?
Questa affermazione serve ad alimentare una teoria, utile ai fini elettorali, che la crisi sia stata eterodiretta. Niente di più falso. La definirei fake news di una guerra ibrida rivolta verso il centrodestra. La crisi di governo ha origini multiple, che risalgono alla elezione del Capo dello Stato, e sono tutte di carattere domestico. Prima tra tutte l’implosione dei Cinque Stelle, che non hanno votato la fiducia al governo Draghi, e che comunque l’aveva ottenuta in entrambe le Camere e avrebbe potuto continuare; ma che, nonostante ciò, ha ritenuto di rassegnare le dimissioni al Quirinale, con gli esiti che sappiamo. Evidentemente l’uscita di scena del presidente Draghi crea timori e incertezze sul piano internazionale, alimentate ad arte contro un centrodestra di cui si paventa “la calata”. Timori che saranno presto fugati, perché Forza Italia e Lega, che hanno collaborato lealmente nel governo Draghi hanno condiviso, dall’interno le difficili, ma necessarie, scelte di politica estera atlantiste ed europeiste.
Per quanto concerne Forza Italia, ma posso dire che ciò vale per l’intera coalizione di centrodestra, anche se il nostro più ardente desiderio è quello di una soluzione pacifica, continueremo a mantenere fede ai nostri impegni sino a quando non vi sarà un mutamento nel quadro geostrategico tale da spingere l’Europa e l’Alleanza Atlantica a mutare la loro posizione.
Lavrov ha detto che “gli obiettivi dell’operazione vanno oltre il Donbass”. Queste dichiarazioni che tipo di scenario prefigurano?
Credo nessuno sia in grado di dirlo con precisione, anche perché credo che nessuno lo sappia, neppure al Cremlino. Gli scenari sono mutevoli e dipendono dalle condizioni sul terreno. Infatti, sin dall’inizio, gli obiettivi sono stati formulati con studiata vaghezza. Cosa significa in termini concreti la “denazificazione” dell’Ucraina? Ma per dare una risposta più esauriente alla sua domanda, mi rifaccio a una suggestiva teoria di Tatiana Stanovaya, un’acuta osservatrice del mondo russo, che in un articolo sul New York Times, ha parlato della strategia della Matrioska; in cui ogni elemento rientra all’interno dell’altro, come nelle omonime bamboline russe, in un piano più vasto che travalica i confini dell’Ucraina. Il primo obiettivo riguarda le ambizioni territoriali della Russia, che dopo il fallito tentativo di prendere Kiev ha ripiegato sul controllo del Lugansk e Donetsk.
Questo primo elemento si incastrerebbe all’interno del secondo obiettivo geopolitico, che riguarda il resto del territorio ucraino e che sarebbe quello di provocare una capitolazione dell’Ucraina, privandola del diritto di costruire una nazione indipendente e sovrana, provocandone la russificazione. Questo secondo obiettivo, più distante nel tempo, non richiederebbe un’invasione ma avrebbe, attraverso una rivolta interna, ridotto ad una porzione del suo territorio, tagliato fuori dall’accesso al Mar Nero e privato delle principali risorse naturali e minerarie. Poi vi sarebbe un terzo obiettivo: la costruzione di un nuovo ordine mondiale. La stessa autrice riconosce che si tratta di uno scenario irrealistico, ma credo possa servire come quadro di riferimento per analizzare le mosse del Cremlino e per capire l’importanza della difesa dell’Ucraina e il significato dello statuto di candidato all’Unione Europea che abbiamo votato a larga maggioranza.
Ci spiega la posizione in politica estera dei tre partiti di centrodestra? Quali sono le affinità e le divergenze?
Mi permetto di parlare della politica di Forza Italia, il partito che ha una maggiore esperienza di governo in politica estera. Posso mettere in evidenza la storica appartenenza di Forza Italia al Partito Popolare Europeo e quindi la più totale adesione ai valori fondanti dell’Unione Europea. Al tempo stesso altrettanto salda è la nostra fede atlantista, che ha visto Berlusconi pronunciare uno storico discorso di gratitudine e vicinanza al popolo americano al Congresso degli Stati Uniti. Al quale, voglio ricordarlo, non abbiamo mai fatto mancare il nostro fattivo sostegno, anche nei momenti più difficili.
Come la Germania, e in un certo modo anche la Francia, abbiamo ritenuto di perseguire una nostra Ostpolitik, una politica di apertura e inclusione nei confronti della Russia sviluppando e intensificando scambi e attività economiche, che portando maggiore benessere avrebbero contribuito alla nascita di una classe media, ad un cambiamento sociale e politico e a una integrazione dei due sistemi. Ciò che i tedeschi definiscono “Wandel durch Handel”: il cambiamento tramite i commerci.
Purtroppo, come ha ammesso anche Angela Merkel, questo tentativo è fallito e bisogna prenderne atto. Così come sull’altra sponda dell’Atlantico è fallita la spinta che ha portato prematuramente la Cina nel Wto, con gli stessi intenti, laddove la Cina ha sfruttato i vantaggi dell’adesione per diventare una potenza economica planetaria senza sottostare agli impegni e le regole e quindi senza mutare alcuna crescita di sistema che potesse avvicinarla all’Occidente. Il ciclo della “globalizzazione felix” è giunto al termine, così come gli altri elementi di corollario quali l’illusione della fine della storia e la sparizione dell’opzione militare dall’orizzonte strategico.
Per quanto concerne le fonti energetiche, continueremo nell’opera di diversificazione intrapresa dal governo Draghi, cominciando in primis da casa nostra, che avevamo colpevolmente abbandonato. Non si tratta di un compito agevole, non solo per le distanze, ma anche a volte per la fragilità istituzionale dei paesi dove queste sono ubicate. Inoltre, il loro sviluppo va di pari passo alla transizione energetica e quindi al bilanciamento tra gli investimenti, che sappiamo avranno tempi di ammortamento forse non sufficienti per via della non rinviabile neutralità carbonica, ma al tempo stesso indispensabili per il funzionamento delle moderne economie sviluppate, ai quali dovranno essere affiancati gli investimenti nelle rinnovabili, solare ed idrogeno, come pilastri della nuova sostenibilità energetica.
Tutti i partiti del centrodestra mantengono altresì una vigile attenzione al Mediterraneo allargato, crocevia di tutte le tensioni politiche, economiche, demografiche, ambientali così come agli sviluppi in Nord Africa e nell’Africa subsahariana, senza dimenticare le aree sensibili del Medio Oriente e dell’Indo Pacifico. Cruciale in questo contesto è come sapremo interpretare, come Italia e come Europa, il nostro rapporto con il resto del mondo, con un Occidente che si restringe sempre più, rifugiandosi a volte in un atteggiamento di superiorità morale che non aiuta a capire e quindi a rispondere alle sfide della Cina, alla crisi del sistema di istituzioni onusiane, e a quelle economiche di Bretton Woods.
In questi mesi, Fratelli d’Italia ha assunto una linea nettamente pro-Ucraina. Si può dire lo stesso di FI e della Lega?
Ancora una volta mi permetto di parlare solo di Forza Italia. La nostra linea è stata nettamente in favore dell’aiuto e della difesa dell’Ucraina in tutte le sedi istituzionali, nei nostri interventi e nei nostri voti al Parlamento italiano e al Parlamento Europeo. Si è voluto dare peso eccessivo ad affermazioni tenute in contesti conviviali volte a cogliere l’apprensione e il sentire comune e non ad esprimere una linea politica ufficiale. Purtroppo, l’amicizia non è una categoria della politica estera e come tale può anche essere motivo di umane delusioni, ma chi non dice che l’amicizia non possa tornare utile quando le armi taceranno e sarà necessario tornare a parlarsi, a quelle che gli anglosassoni chiamano “confidence building measures”? O quando si tratti di assumere il ruolo di garanti, un compito che il nostro Paese potrebbe molto realisticamente essere chiamato a svolgere?
Se il centrodestra dovesse vincere le prossime elezioni, lei crederebbe possibile una politica estera comune e coerente? Quale sarà la posizione del potenziale governo in merito alla fedeltà alla Nato e ai legami transatlantici?
A nostro avviso, la politica estera dell’Italia deve fondarsi sull’interesse nazionale, come è il caso per tutte le grandi democrazie, cosa ben distinta dal nazionalismo, che non cambia con l’avvicendarsi dei governi, perché poggia su scelte strategiche costanti e condivise. Per questo, non muta e non può mutare il nostro necessario ancoraggio Europeo e atlantico. Ora più che mai. Il momento è talmente delicato e i problemi sono tali e tanti, tutti interconnessi tra loro, che nessuno può permettersi sbandamenti o improvvisazioni. Le risposte per essere efficaci andranno trovate all’interno di processi di integrazione regionale, come quello europeo e delle nostre alleanze politico militari come la Nato e la nascente Difesa Europea. Noi lo abbiamo ben chiaro e sono certo che anche i nostri partner di coalizione condividono questa nostra impostazione di fondo.