Dopo essere stata strenua nemica delle monete virtuali, ora l’ex Urss avrebbe deciso di permettere le attività di mining, a patto che bitcoin e i suoi fratelli non entrino in circolazione dentro i confini russi. Obiettivo, usare tali asset per vendere petrolio e gas aggirando le sanzioni. Ma a Washington hanno fiutato la mossa e preparano contromisure
La Russia braccata dalle sanzioni occidentali, anche se finché ci sono gas e petrolio non sarà vero default, gioca la carta bitcoin per provare ad aggirare la fitta rete alzatasi intorno ai suoi confini. E pensare che in tutti questi anni l’ex Urss ha visto nel fenomeno delle criptovalute qualcosa di molto simile a un’opera del Diavolo. Ma ora no, c’è la guerra, c’è un’economia traballante e ci sono le sanzioni. E allora diventa tutto o quasi lecito.
E così, il capo del dipartimento per le tecnologie finanziarie della Banca centrale, Kirill Pronin, ha dichiarato che la Federazione sarebbe pronta a sostenere la legalizzazione del mining, ovvero l’attività che consente l’estrazione della moneta virtuale e la successiva messa in circolazione. Attenzione però, perché la stessa vigilanza porrebbe una condizione ai miner, ovvero che siano obbligati a vendere al di fuori del Paese le monete estratte. In altri termini, la Russia dice sì alle criptovalute a patto che le medesime non entrino in circolazione nel sistema dei pagamenti russo. Ma al di fuori della Russia, sì.
Ed ecco che allora la mossa russa trova un senso logico. L’attività di mining, per esempio, può tornare utile ai Paesi ricchi di risorse fossili, quali l’ex Urss è a tutti gli effetti. L’Iran lo sa bene: poiché le sanzioni gli impediscono di esportare petrolio e gas verso i Paesi occidentali, lo Stato arabo monetizza queste risorse estraendo bitcoin. Con cui poi paga le importazioni riuscendo così ad aggirare anche le restrizioni che gravano sui suoi istituti finanziari. E lo stesso potrebbe valere per Mosca, evitando di deprezzare il rublo internamente con la concorrenza del bitcoin, usandolo invece per gli scambi con l’estero dal momento che le criptovalute, per loro natura, possono essere trasferite senza restrizioni.
Mosca potrebbe seguire l’esempio di Teheran, anzi è molto probabile che lo faccia, visto che negli Stati Uniti è già scattato l’allarme rosso, con il Tesoro americano che ha sanzionato Bitriver, società di mining russa con sede a Zurigo. Di più. L’Office of Foreign assets control (Ofac) teme proprio che la Russia possa sfruttare le sue vaste riserve di petrolio e altre risorse naturali per condurre mining di criptovalute ad alta intensità energetica, come modo per raccogliere fondi e aggirare le sanzioni occidentali. Per l’appunto.