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Cosa ne fa la Russia del gas invenduto all’Ue

Il taglio del 60% delle forniture di gas russo all’Europa attraverso il gasdotto Nord Stream 1 spalanca la strada alla speculazione, al mercato nero (e a un potenziale cerino che resta nelle mani di Mosca?)

La Russia ha più gas di quanto ne consuma e di quanto ne esportava prima della reazione autoatlantica dopo l’invasione dell’Ucraina. C’è da chiedersi cosa ne farà Gazprom dei volumi invenduti: intanto ha prodotto oltre 700 miliardi di metri cubi nel 2021. Di questi, 400 miliardi di metri cubi verrebbero normalmente utilizzati in Russia; 180 miliardi finivano tramite gasdotti in Europa. Il resto va in altri mercati, sempre di più in Cina. Ma le cose sono cambiate.

Si taglia ma si incassa

Fino all scorso anno l’Europa ha ricevuto dalla Russia il 40% del suo fabbisogno totale di gas, più un ulteriore 5% come Gnl. Il taglio del 60% delle forniture di gas russo all’Europa attraverso il gasdotto Nord Stream 1 spalanca la strada alla speculazione, al mercato nero e a un potenziale cerino che potrebbe restare nelle mani di Mosca.

Primo step i “nuovi” acquirenti come Cina e India che hanno investito 24 miliardi di dollari in energia russa in soli tre mesi dopo l’invasione dell’Ucraina. Ciò, da un lato, dimostra che l’aumento globale dei prezzi mette un freno alle speranze di Stati Uniti ed Europa di punire Vladimir Putin; dall’altro che le casse russe registrano un +13 miliardi di dollari rispetto agli stessi mesi del 2021.

Chi al posto dell’Ue

Tra i 35 Paesi che non hanno condannato l’invasione russa ci sono proprio Cina, India (e Pakistan): il tema è se e come India e Cina potranno sostituirsi, in termini di volumi, agli acquisti europei conclusi prima della guerra e soprattutto a quale prezzo per New Dehli e Pechino. Sul punto si registrano le previsioni del ceo di Gazprom, Alexei Miller, secondo cui la diminuzione delle esportazioni verso l’Ue è completamente compensata da prezzi più elevati.

Ma lo scorso 1 luglio una nota ufficiale del colosso russo ha sottolineato che le esportazioni si sono ridotte a 68.900 metri cubi negli ultimi sei mesi, con un calo del 31% rispetto al 2021. Il tutto mentre la domanda mondiale di gas è diminuita di 24 miliardi di metri cubi. Tuttavia, Gazprom ha aggiunto che il trasferimento di gas alla Cina attraverso il gasdotto Siberian Force nei primi sei mesi del 2022 è aumentato del 63,4% in base al contratto a lungo termine firmato con la compagnia energetica cinese Cnpc.

Monito Iran

C’è però un altro aspetto di cui tener conto in questo ragionamento: al netto del fatto che, nonostante le sanzioni occidentali, la Russia stia incassando bene dalle vendite di petrolio e gas, il cosiddetto “schema Iran” dovrebbe essere un monito. Ovvero Paesi precedentemente sanzionati come Iran e Venezuela hanno accusato un calo nella produzione di petrolio proprio a causa delle sanzioni statunitensi.

Da lì il calo degli investimenti è un passo fisiologicamente conseguente. Nello specifico le sanzioni sono progettate proprio per ridurre la domanda, costringendo a loro volta i produttori di petrolio del Paese interessato a tagliare la produzione. Uno schema che non si materializza certo nel brevissimo termine, anche perché il ventaglio di sanzioni contro Mosca non è di sola matrice americana ma abbraccia una serie di altri Paesi. Quindi, in prospettiva, potrebbe essere più performante di quello applicato a Iran e Venezuela.

@FDepalo


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