La normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni dei Paesi arabi del Medio oriente ha portato ad un aumento delle possibilità di mercato dell’industria della difesa di Tel Aviv. Questo trend positivo ha fatto crescere le ambizioni israeliane di costruzione di un patto di difesa comune per la sicurezza aerea regionale, con una rete di radar, rilevatori e intercettori, in funzione anti-Iran
Mentre l’industria israeliana della difesa si espande nei mercati dei vicini arabi, crescono le ambizioni di Tel Aviv per la realizzazione di una struttura di difesa condivisa con i Paesi del Golfo in funzione anti-iraniana. Fino a oggi, secondo i dati comunicati dal ministro della Difesa Benny Gantz, dalla firma degli Accordi di Abraham nel 2020 Israele ha già concluso dei contratti nel settore difesa con i Paesi arabi per tre miliardi di dollari, una cifra destinata ad aumentare di fronte alla percezione di insicurezza nei confronti della minaccia di Teheran e dei suoi proxy regionali.
Cooperazione di sicurezza
Israele, inoltre, intende sfruttare queste percezioni per spingere verso una maggiore cooperazione in materia di difesa con i vicini dell’aerea. Il mese scorso, infatti, lo stesso ministro Gantz ha annunciato la volontà di costruire un sistema di difesa aerea regionale congiunto e interconnesso tra Israele e le nazioni più vicine, definito Middle east air defese alliance (Mead). In vista della visita del presidente statunitense Joe Biden in Medio Oriente, prevista dal 13 al 16 luglio, il ministro ha anche auspicato un coinvolgimento maggiore geli Stati Uniti per spingere verso una maggiore cooperazione di difesa tra Israele e gli Stati del Golfo.
Difesa aerea regionale
Nelle intenzioni di Tel Aviv e Washington, il Mead consisterebbe in un sistema di collegamento delle diverse difese aeree regionali per controbattere le incursioni di droni e missili iraniani in tutto il Medio Oriente. Israele, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e parte dell’Iraq sono infatti stati bersaglio di diversi attacchi condotti da Uav o missili, rivendicati per la maggior parte dalle milizie sciite sostenute da Teheran. Il piano prevede la costruzione di una rete di radar, rilevatori e intercettori tra Arabia Saudita, Oman, Kuwait, Bahrein, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Giordania ed Egitto. Ciò consentirebbe a questi Paesi di individuare le minacce aeree prima che attraversino i loro confini.
Le preoccupazioni sul nucleare
Il piano di difesa regionale arriva a seguito delle preoccupazioni legate alle difficoltà nei colloqui con Teheran sulla questione del nucleare, un timore condiviso sia da Tel Aviv e Washington, sia da diversi Paesi del Golfo. Tuttavia, la spinta alla cooperazione anti-Iran incontra anche la resistenza di alcuni Stati arabi, come Iraq, Qatar e Kuwait, nei quali la questione potrebbe non essere così semplice. L’Iraq, per esempio, è fortemente influenzato dall’Iran attraverso il sostegno di Teheran ai politici e alle milizie sciite di Baghdad. A maggio, tra l’altro, il Parlamento iracheno ha approvato una legge che vieta la normalizzazione delle relazioni con Israele.
Ricucire con il Medio oriente
Nonostante l’ottimismo israeliano, dunque, permangono le resistenze dei Paesi arabi, ancora diffidenti verso una cooperazione così strategica con il vecchio avversario, e la visita di Biden potrebbe servire a far avanzare la questione. Secondo la Casa Bianca, il presidente, che visiterà prima Israele, poi la Cisgiordania e infine l’Arabia Saudita (dove parteciperà a una riunione del Consiglio di cooperazione del Golfo), discuterà “i mezzi per espandere la cooperazione regionale, economica e di sicurezza, comprese nuove e promettenti iniziative infrastrutturali e climatiche, nonché scoraggiare le minacce dell’Iran, promuovere i diritti umani e garantire la sicurezza energetica e alimentare globale”. Inoltre, la visita ha principalmente lo scopo di ripristinare la posizione degli Stati Uniti in Medio Oriente, presentandosi come il principale alleato dei Paesi del Golfo. Un’esigenza dovuta al percepito ritiro americano dalla regione, un vuoto che ha portato molti Stati dell’aerea a guardare con maggiore interesse a Est, verso la Cina.